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lunedì 27 gennaio 2014
L'Egitto anticipa l'elezione del Presidente
Per fermare il progressivo stato di caos, che sta sempre più rendendo instabile il paese, il presidente egiziano ad interim, Mansur, ha annunciato l’anticipazione delle elezioni presidenziali, che si terranno, quindi, prima di quelle legislative, contrariamente a quanto previsto. La speranza dell’esecutivo è di portare al potere con le elezioni una personalità legittimata dal voto popolare per guidare il paese fuori dallo stato confusionale in cui è caduto. Questa decisione modifica quanto espressamente previsto dalla dichiarazione costituzionale emessa dopo il rovesciamento del presidente Mursi. La decisione rivela come l’intenzione delle forze armate sia quella di dare il potere ad un organo monocratico, in grado di prendere decisioni, almeno in una prima fase di urgenza, senza il contraltare del potere legislativo, che verrà eletto successivamente. Questa decisione risponde all’esigenza di governare con decisioni rapide una situazione obiettivamente difficile, ma tradisce i principi democratici, che avevano ispirato la sollevazione egiziana contro Mubarak. Si tratta anche di una decisione che pone il governo in carica e quindi i militari, il potere che lo sostiene, in una luce non certo positiva nel panorama internazionale, a cui fornisce un elemento in più per prendere distanza da un regime sempre più illiberale e repressivo, incapace di trovare un dialogo con le opposizioni, se non entro steccati ben delimitati, che non lasciano spazio a critiche. Se, dal punto di vista internazionale, lo scopo della presa del potere dei militari, era quello di una maggiore vicinanza all’occidente in generale, ed agli Stati Uniti in particolare, la tattica del governo egiziano in carica si sta rivelando fallimentare; infatti se Washington non gradiva la svolta confessionale della politica egiziana, non può apprezzare neppure la successiva svolta autoritaria, che non permette forme di dialogo e di collaborazione, come quelle che esistevano con Mubarak. Su questo piano l’errore dei militari è di avere creduto di potere replicare le condizioni presenti con il vecchio dittatore, come condizioni non influenti nel rapporto con gli USA. Viceversa la Casa Bianca, dopo la caduta di Mubarak, ha operato un cambiamento, che prevede maggiori attenzioni alle condizioni interne di un paese, al fine di mantenere rapporti ufficiali, specialmente quelli inquadrati in alleanze strategiche. Se l’Egitto non riesce a risolvere i propri problemi di politica interna, quindi appare sempre più isolato sulla scena internazionale, non potendo certo andare verso quei paesi, che appoggiavano la svolta confessionale. Potrebbe aprirsi un dialogo con i paesi del Golfo, che stanno conducendo una politica di doppia valenza: favorire i movimenti sunniti contro quelli sciti, ma, nello stesso tempo, bloccare l’escalation verso la democrazia, come sta facendo Il Cairo, per non esserne contaminati. Si tratta però di situazioni sociali molto diverse, la condizione economica dei cittadini egiziani è molto critica, mentre quella dei paesi delle monarchie del golfo è florida e questa condizione, giunta ad un rigido controllo di polizia, non può che sfavorire elementi di ribellione, che, infatti, sono avvenuti da parte delle minoranze religiose o dei lavoratori immigrati. La data delle elezioni presidenziali dovrebbe essere molto vicina, si parla di un periodo compreso tra febbraio ed aprile, ma il tempo gioca un fattore molto determinante per ridurre la crisi ed è prevedibile che la consultazione avvenga nel minore tempo possibile. Il favorito resta il ministro della difesa e capo dell’esercito il generale Al Sisi, su cui confluiscono i favori di diverse parti della società egiziana, specialmente da parte di quei settori che temono la rinascita delle forze confessionali e vedono nell’uomo forte dei militari, l’unico possibile fattore di contenimento. Se questo pronostico verrà rispettato il futuro dell’Egitto resterà avvolto in una incognita molto grave, infatti la mancanza di volontà delle due parti principali, esercito e Fratelli musulmani, ma anche di quella dei partiti laici messi fuorigioco dal nuovo esecutivo, di instaurare un dialogo provocherà nuove repressioni e nuove violenze, che la tattica dell’uomo forte al comando non potrà che fare aumentare.
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