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martedì 11 febbraio 2014

Gli USA e la Francia alleati nella lotta al terrorismo in Africa

Gli USA, nella loro strategia globale di politica estera, mettono l’Africa in secondo piano, rispetto ad altre zone del mondo; tuttavia nello scacchiere del terrorismo islamico, regioni come il Sahel o il Mali, sono sotto costante osservazione da parte della casa Bianca. Su questi presupposti si basa la collaborazione tra Stati Uniti e Francia nelle operazioni di Parigi nella parte centro settentrionale del continente nero. Per gli USA è fondamentale non occupare una posizione di primo piano, come un impegno diretto dei soldati americani sul terreno, ma resta importante potere monitorare l’evoluzione della situazione collaborando a stretto contatto con i francesi in altri modi. La condivisione delle informazioni, il rifornimento e la logistica, rappresentano concretamente, insieme all’uso sempre più frequente dei droni nelle operazioni militari, la collaborazione che si è sviluppato tra Washington e la capitale francese, nella lotta al terrorismo in Africa. Si tratta però anche di atti che si possono prefigurare come di guerra, anche se non dichiarata formalmente, una situazione ben diversa dalle forze armate francesi che operano alla luce del sole e spesso con mandato ONU, anche per risolvere crisi umanitarie. Il problema fondamentale di strategia internazionale che accomuna i due paesi è la tematica di quelle che sono state definite le fabbriche del terrorismo e che minacciano di destabilizzare una vasta zona del continente africano. Si tratta di installazioni paramilitari, campi di addestramento e basi da cui partono le offensive dei gruppi integralisti islamici e che hanno una buona capacità di attrazione su parte delle popolazioni locali. Inoltre queste piccole centrali del terrorismo generano fenomeni correlati di grande impatto sociale, che alimentano più di un circuito che mescola malavita e movimenti terroristici. Infatti il maggiore finanziamento di questi gruppi avviene attraverso il commercio e la tratta di esseri umani, che va a contribuire all’immigrazione illegale in Europa, ai traffici riguardanti gli stupefacenti ed infine al mercato del contrabbando delle armi. La grave instabilità del Sahel e del sud della Libia contribuisce a creare situazioni analoghe nel Mali, nel Niger e nella parte meridionale dell’Algeria, dove le zone desertiche favoriscono la mobilità di questi gruppi terroristici. La preoccupazione americana, che deriva anche dal crescente peso assunto in queste zone da Al Qaeda, determina quindi un grande sostegno nelle operazioni anti terrorismo e vede i francesi come un alleato fondamentale per la sua presenza sul terreno. Ma questa strategia è destinata a perdere sulla grande distanza se non verranno coinvolti sempre di più i governi dei paesi africani e le stesse Nazioni Unite. Per quanto riguarda i primi il problema maggiore è dotare i loro eserciti di una preparazione e di una attrezzatura adeguata, dato che si tratta di forze militari male equipaggiate e forse ancor peggio addestrate, spesso divise al loro interno da rivalità tribali, che spesso ne provocano conflitti intestini. Su questo fronte Parigi ed anche la UE hanno cominciato a fornire una formazione, che non è ancora sufficiente a consentire una azione autonoma sul campo di battaglia, senza, cioè, l’affiancamento dei soldati francesi. Mentre, per quanto riguarda l’ONU, l’azione è spesso rallentata da rivendicazioni particolaristiche, che si attuano con veri e propri blocchi dell’attività decisionale, di alcuni stati. Anche in questa fattispecie la mancata riforma del Consiglio di sicurezza che vada in una prospettiva di un maggiore e più veloce processo decisionale, provoca materialmente vittime umane al pari degli episodi bellici di cui queste le popolazioni della regione sono vittime.

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