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lunedì 3 febbraio 2014

Israele a rischio boicottaggio internazionale

La sensazione, che si sta diffondendo nella platea internazionale, è che il responsabile di un eventuale fallimento del processo di pace tra Israele e Palestina, sia proprio a Tel Aviv. Il continuo atteggiamento dell’esecutivo israeliano, infatti ha provocato l’irritazione del Segretario di stato, Kerry, che si è impegnato in prima persona nelle trattative, assecondando le strategie variabili ed anche gli insulti provenienti dal governo di Tel Aviv. Fino ad ora il comportamento palestinese è stato irreprensibile: gli elementi pericolosi sono stati controllati, non si è operato davanti alle Nazioni Unite e si è appoggiato in tutto e per tutto l’azione di Kerry, con l’unico veto riguardante le colonie. Come si sa questo è l’ostacolo che impedisce lo sviluppo e la conclusione del processo di pace. Fino ad ora si poteva credere che per Israele la questione degli insediamenti fosse la principale causa ostativa al dialogo con i palestinesi: la fame di territorio per una nazione alle prese con il problema abitativo, giunta alle rivendicazione di matrice religiosa, provenienti dai gruppi più ultranazionalisti, potevano, se non giustificare, almeno spiegare la ritrosia del governo di Tel Aviv a concordare la pace con gli storici avversari. Per come si stanno, però, svolgendo le cose, il problema degli insediamenti deve essere inquadrato sotto una luce differente. Più che causa, probabilmente per Israele è un mezzo per ostacolare un processo di pace che la gran parte del governo non vuole assolutamente. Certo non tutta la maggioranza eletta concorda con questa visione, ma questo è il comune sentire nettamente maggioritario del governo. Anche nella stessa società israeliana, dove, tuttavia, vi è una gran quantità di favorevoli all’accordo con i palestinesi, l’argomento suscita sentimenti contrari o tutto al più, vi è un atteggiamento di indifferenza, che permette al governo di continuare la propria politica di contrarietà alla pace, in spregio agli sforzi della Casa Bianca. Tuttavia il progressivo isolamento in cui Israele si è gettato, fidandosi troppo di uno status quo ormai messo in forte crisi, si sta progressivamente allargando con tutte le conseguenze di cui Tel Aviv dovrà prima o poi tenere conto. Il pericolo tangibile di essere oggetto di un boicottaggio su vasta scala di tipo economico, culturale e politico, da parte delle potenze occidentali si sta facendo sempre più concreto. Ci sono segnali inequivocabili che lo stato israeliano, se non cambierà il proprio atteggiamento, subirà una pressione internazionale senza precedenti, come, cioè, nella sua storia ha mai provato. Anche per l’economia israeliana la crisi mondiale è stata nefasta ed infatti la disoccupazione è uno dei problemi del paese, in un tale contesto un boicottaggio economico potrebbe mettere la nazione a rischio di conflitti sociali in grado di minare gli equilibri interni. Mentre il boicottaggio culturale e politico è già iniziato con il rifiuto di diverse personalità di recarsi nel paese, con l’interruzione di progetti di collaborazione nel campo scolastico ed una sempre maggiore pressione dei governi occidentali, in maniera anche informale, che hanno irritato il capo dell’esecutivo, sentimento che è culminato con la convocazione di ambasciatori dei maggiori paesi europei. Ma è la delusione americana che rischia di avere conseguenze che potranno diventare incalcolabili. Gli accordi di cooperazione economica e soprattutto militare, se messi a rischio possono esporre il paese israeliano ad una situazione di pericolosità da non sottovalutare. In realtà appare difficile che il legame tra USA ed Israele si sciolga, ma che arrivi ad un allentamento significativo è, in questo momento, molto probabile. Senza una retromarcia sul proprio comportamento il governo di Israele rischia di entrare in una pericolosa fase, in cui dovrà assumersi le proprie responsabilità di fronte alla propria cittadinanza sulle conseguenze che un boicottaggio potrà produrre. Il raggiungimento dell’accordo tra Israele e Palestina è un obiettivo che va oltre le necessità degli USA e le ambizioni di Obama, è un traguardo che il mondo, soprattutto quello occidentale, ma anche gran parte di quello arabo, ritiene ormai imprescindibile per gli equilibri mondiali, anche di fronte a sempre nuove insorgenze di instabilità; di fronte a queste aspettative Israele non può tenere in ostaggio gran parte delle nazioni per un anacronistico disegno basato su esigenze religiose e motivazioni politiche ormai superate. Se lo farà dovrà subire la riprovazione pratica del consesso internazionale, pagando in prima persona per il proprio atteggiamento irresponsabile.

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