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giovedì 6 febbraio 2014
La Jihad islamica contraria al processo di pace tra Israele e Palestina
La maggioranza del governo di Israele e tutti quanti si oppongono al processo di pace tra israeliani e palestinesi hanno la conferma di avere un sicuro alleato nella Jihad islamica. L’organizzazione, che dopo Hamas, è la seconda per importanza nella striscia di Gaza, ha dichiarato che si opporrà con tutti i mezzi ad un eventuale accordo per la costituzione di uno stato palestinese, che nascerebbe privato del suo territorio naturale, occupato abusivamente da Tel Aviv. Non si parla qui delle colonie in Cisgiordania, ma dello stato di Israele, visto come una entità usurpatrice degli interi territori arabi. Si tratta di una posizione ormai anacronistica, che è caratterizzata da una estremizzazione inutile e controproducente, ma che assomiglia, per molti versi, alle visioni più integraliste di alcuni movimenti ultranazionalisti e religiosi israeliani. Sono due visioni diametralmente opposte, ma che hanno numerosi punti di contatto. L’intolleranza totale verso l’avversario, il mancato riconoscimento di una situazione di fatto da cui è impossibile tornare indietro, la stessa incapacità di arrivare ad un riconoscimento reciproco. Tuttavia la presenza di queste posizioni consente soltanto maggiore margine di manovra al soggetto più forte, che non sono certo i palestinesi. Infatti l’atteggiamento più pragmatico dell’Autorità Nazionale Palestinese, che con i suoi metodi legali sta creando diversi problemi ad Israele, risulta più difficile da contrastare per il governo di Tel Aviv. La recente presa di posizione di Abu Mazen, che si è detto favorevole ad un presidio militare delle forze NATO, sul territorio cisgiordano, per salvaguardare Israele da possibili attentati, è stata una mossa in grado di mettere in difficoltà tutti i soggetti contrari ad un accordo: sia da una parte che dall’altra. La dichiarazione della Jihad islamica non arriva a caso ed rinforzata con minacce esplicite di nuove armi, capaci di colpire Israele in maniera più precisa. Si comprende come queste dichiarazioni siano funzionali, come per altri versi quelle israeliane, al boicottaggio di qualsiasi tentativo di pacificazione. In questo momento per Kerry l’interlocutore ufficiale più affidabile rimane sempre di più Abu Mazen, che mantiene una condotta sottotraccia, ma efficace per dimostrarsi come un soggetto rispondente alle attese americane. Il governo israeliano non si farà mancare l’occasione di sfruttare le dichiarazioni degli estremisti palestinesi, perdendo ancora una volta l’occasione di riconoscere in modo convinto l’Autorità Palestinese come interlocutore attendibile: una strategia voluta per fare naufragare i piani americani. Resta da vedere come reagirà Washington a questi continui stop dei negoziati, che favoriscono soltanto le prese di posizioni inutili come quella jihadista, che possono essere tacitate soltanto con risultati concreti, quelli che Tel Aviv impedisce costantemente
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