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mercoledì 28 maggio 2014
Il significato delle elezioni europee
L’Unione Europea uscita dalle urne delle consultazioni elettorali risulta frammentata a livello politico e nazionale, ma sostanzialmente unita, nell’insieme dei suoi governanti, nell’indirizzo da prendere per evitare che i risultati della consultazione mettano in pericolo gli obiettivi preminenti e della stessa esistenza dell’istituzione sovranazionale. Le tendenze dei partiti anti Europa, certo pesano parecchio nell’analisi, ma possono anche sortire l’effetto di registrare la strategia dell’eccessivo rigore, vera responsabile di questi risultati. Tutti i paesi sono ormai consapevoli che per evitare derive pericolose, occorre correggere la rotta nella materia economica per permettere una reale percezione differente della UE, ormai sentita come causa opprimente, anziché come fattore di sviluppo. La posizione del governo francese è quella più difficile: l’affermazione dell’estrema destra, che ha registrato i maggiori consensi nei ceti più colpiti dalle misure contro la crisi e tradizionale serbatoio di voti anche dei socialisti, pone l’esecutivo di Parigi in uno stato molto precario. Sull’onda del successo elettorale Marine Le Pen, ha richiesto subito nuove elezioni, con un programma elettorale che porti la Francia fuori dall’Unione Europea. La suggestione sul popolo francese di una proposta di questa portata potrebbe essere grande, anche perché il successo del Fronte Nazionale è avvenuto anche a spese del partito di centro destra dell’ex presidente Sarkozy. La Francia, insomma, si trova in una situazione fortemente anomala rispetto al continente, per il peso politico guadagnato da una forza estremista. Se il governo in carica ha scongiurato il ricorso ad elezioni nazionali, si capisce però, che il caso francese rappresenta l’anomalia maggiore in un panorama generale che ha comunque espresso indicazioni ben chiare. L’Europa non può permettersi di perdere la Francia, ma per fare ciò sono necessarie misure urgentissime che dicano chiaramente che il segnale delle urne è stato recepito. Per l’Inghilterra, già istituzionalmente più scettica sulle accelerazioni verso una unione politica, l’allarme della crescita delle forze antisistema è una conferma delle ragioni che vogliono una limitazione di quella che è ritenuta l’invadenza di Bruxelles dentro le regole degli stati. La visione di Cameron si distingue nettamente da quella di Hollande e di Renzi, per il premier inglese la direzione da prendere è quella di allentare i legami e lasciare maggiore spazio di manovra agli stati; ma così facendo l’Unione Europea diventerebbe uno strumento soltanto commerciale, una zona di libero scambio di merci e prodotti finanziari, che non sarebbe in grado di arginare le nuove potenze nate dalle globalizzazione. La visione inglese è però coerente con il percorso di Londra entro le istituzione europee, viste come una opportunità da cui prendere soltanto i vantaggi e sottrarsi agli oneri. Parigi e Roma, al contrario, fin dall’elezione degli attuali capi di stato, ha provato ad impostare una politica differente nei confronti della UE e della Germania, che è rimasta però troppo timida. I due paesi confinanti, pur avendo una situazione economico politica e sociale molto simile hanno trovato risultati opposti dalle urne. Deve essere subito detto che la vittoria di Renzi non è dovuta all’abilità del Presidente del Consiglio italiano, quanto ad una assenza cronica di concorrenti: in Italia si è votato, non solo per il meno peggio, ma anche per l’unico che poteva dare qualche parvenza di credibilità e soprattutto di garanzia di tenuta del sistema. In Francia, al contrario, gli elettori dopo la delusione di Sarkozy, avevano scelto Hollande, ma anche l’immobilità di quest’ultimo ha determinato una scelta di rottura con il sistema, anche in ragione di un programma mirato proprio contro Bruxelles. Poco hanno contato le ragioni ideologiche, se un paese notoriamente antifascista si esprime in modo così massiccio per una forza politica di quell’indirizzo, significa che il malessere sociale è talmente alto che tale scelta rappresenta l’ultima opportunità per il sistema prima di affrontare un cortocircuito sociale. Del resto anche la Germania mostra segni di insofferenza: la Merkel vince ma con un calo di consensi; questa erosione mostra come anche nel paese più forte del continente e soprattutto quello che ha imposto la politica del rigore a discapito degli alleati, stia crescendo la consapevolezza di avere esagerato ed avere creato i presupposti per uno squilibrio che, alla lunga, rischia di essere deleterio per Berlino. La panoramica appare, quindi abbastanza chiara: la politica del rigore è stata messa in discussione in m forma ufficiale dai cittadini europei, che ora hanno bisogno di segni tangibili per migliorare ciò che è stato peggiorato in nome di una non chiara stabilità monetaria: la qualità della vita.
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