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martedì 22 luglio 2014
Gli USA stanziano aiuti per 47 milioni di dollari a favore di Gaza
Gli Stati Uniti hanno stanziato 47 milioni di dollari per la situazione umanitaria della popolazione di Gaza. L’annuncio è stato dato dal Segretario di Stato, John Kerry, durante una visita a Il Cairo per incontrare il Segretario delle nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ed i rappresentanti egiziani impegnati nelle difficili trattative per raggiungere il cessate il fuoco tra esercito Israeliano ed Hamas. I fondi statunitensi saranno diretti alla ricostruzione degli alloggi, in scorte alimentari e di medicinali; una parte dei 47 milioni di dollari, circa 15 milioni, saranno destinati all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che aveva richiesto inizialmente, un importo di circa 60 milioni di dollari, per sanare la situazione degli oltre 100.000 sfollati della striscia di Gaza a causa dei bombardamenti israeliani. L’impegno in prima persona dell’amministrazione americana a favore di Gaza, annunciato pubblicamente insieme al Segretario dell’ONU, può rivestire una censura per l’azione israeliana, ritenuta esagerata in diversi ambienti statunitensi, ma, allo stesso tempo, sembra anche una sorta di riparazione tardiva ed insufficiente, per non essere riuscita a bloccare l’escalation militare che ha provocato oltre 500 morti tra i palestinesi, la maggior parte dei quali civili. Lo stanziamento della somma a favore degli abitanti di Gaza, può essere un chiaro segnale alla politica aggressiva di Israele, con il quale l’amministrazione Obama è sempre stata in disaccordo. Tel Aviv ha approfittato della necessità degli USA di preservare il rapporto con Israele per ragioni di geopolitica regionale ed anche di politica interna, ma non ha mai gradito l’azione dell’esecutivo di Netanyahu, che non ha mai collaborato attivamente alle trattative di pace sulle quali l’impegno di Kerry e la disponibilità di Abu Mazen, non sono mai mancate. In questo momento della crisi, Washington ritiene non opportuno muovere critiche aperte all’operato delle forze armate israeliane e non è andata aldilà di generici appelli al cessate il fuoco. In realtà l’attività diplomatica statunitense si svolge dietro le quinte, con una riservatezza maggiore proprio per non urtare la suscettibilità di Tel Aviv; la Casa Bianca non approva la dimostrazione di forza messa in campo, che appare esagerata, in un momento di particolare tensione per tutto il medio oriente. Gli USA temono che gli effetti dell’azione di terra siano quelli di aumentare i favori verso il fondamentalismo musulmano. Hamas, che non gode più dei favori della popolazione, potrebbe venire scavalcata nelle proprie posizioni dal sempre più influente califfato che si sta formando dalla dissoluzione dei territori siriani ed irakeni, caratterizzato da un integralismo tale da superare anche Al Qaeda. Il piano di aiuti economici per Gaza potrebbe essere il primo tassello di una operazione statunitense volta a rimarcare politicamente le distanze con il governo di Tel Aviv. Israele per ora tace sul provvedimento americano, ma è facile pensare che non gradisca la pioggia di milioni di dollari che arriveranno a Gaza per ripristinare ciò che il suo esercito ha distrutto; sicuramente in parte della società israeliana ciò potrà essere vissuto come un affronto, mentre per chi è contrario alla dura rappresaglia messa in campo da Netanyahu, il provvedimento americano potrebbe essere una base di partenza per instaurare nuovi rapporti tra i due stati. Non bisogna dimenticare che per Obama, la soluzione dei due stati, che prevedeva la creazione dello stato palestinese, era ed ancora è, un obiettivo primario del suo programma elettorale. Nonostante le battute d’arresto e la situazione che si è evoluta in maniera così grave, proprio il raggiungimento della nascita della Palestina come entità statale resta , probabilmente, il miglior deterrente a manifestazioni di violenza più o meno gravi nella regione. Se Obama non farà mancare gli aiuti agli israeliani, potrebbe inaugurare una stagione di finanziamenti per scopi umanitari, che potrebbero anche evolversi in aiuti per l’economia della striscia di Gaza, particolarmente sofferente per le condizioni di isolamento imposte da Israele. Risollevare le condizioni di vita degli abitanti della striscia potrebbe portare benessere e fare calare la necessità delle azioni violente, anche con un cambio di guida politica, in modo da togliere a Tel Aviv il pretesto con il quale storicamente giustifica le sue azioni militari contro la popolazione di Gaza.
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