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venerdì 31 ottobre 2014

La sfida della nuova Commissione europea

La nuova Commissione europea, prossima all’insediamento, dovrà ancora una volta agire sull’emergenza economica; sarà questo infatti il tema centrale dell’azione della squadra guidata da Juncker, che dovrà dedicare minore attenzione alle pur pressanti emergenze internazionali, per risollevare le sorti della UE in materia di crescita e di lotta alla disoccupazione. Il compito che aspetta il più importante organo collegiale dell’Unione europea, sarà tutt’altro che facile, aldilà delle dichiarazioni di facciata; i contrasti sull’applicazione degli standard eccessivamente improntati al rigore ed il rigido atteggiamento tedesco, rischiano di provocare rallentamenti significativi nell’elaborazione dei bilanci e sui piani di investimento, in un momento dove la velocità rappresenta uno dei fattori determinanti per combattere la crisi. Malgrado la tregua in atto che ha allentato la pressione sull’Italia, ma principalmente sulla Francia, grazie ad un accordo di massima tra Parigi e Berlino, studiato per non fare naufragare l’area euro, l’autorevolezza di alcuni organismi centrali di controllo appare diminuita. Permettere alla Francia di ritardare di altri due anni di portare il proprio debito pubblico sotto il 3% e quindi entro il 2017, sembra un cedimento troppo elevato per continuare a chiedere sacrifici agli altri membri dell’eurozona. La nuova Commissione si troverà quindi ad operare in un regime di difficoltà, con un equilibrio precario, sempre pronto ad essere messo in pericolo dalle congiunture del momento. In ogni caso entro la fine del prossimo mese, si suppone che il controllo dei bilanci diventerà l’argomento centrale e ciò potrà permettere di capire in maniera completa quale sarà l’indirizzo che Bruxelles vorrà prendere. Lo stanziamento verosimilmente previsto sarà di circa 300 miliardi di euro per risollevare praticamente un continente intero dalla crisi economica, ma più che la somma impegnata a preoccupare sarà ancora una volta l’atteggiamento di Berlino, che non vede favorevolmente l’immissione di una grande liquidità nel sistema europeo, quando i guadagni tedeschi hanno generato un surplus considerevole, che rischia di deprezzarsi. La Germania preferirebbe un concorso tra investimenti pubblici e privati per stimolare l’economia della UE, tuttavia questa distribuzione è ancora tutta da studiare e concordare e questo intervallo di tempo rischia ancora di essere a favore della singola economia tedesca, facendo crescere i sospetti che Berlino utilizzi una tattica tesa a procrastinare le decisioni per allontanarle nel tempo in favore del sistema produttivo tedesco. A sostegno di questa ipotesi vi è anche il rifiuto della Germania dell’utilizzo del fondo di salvataggio dell’area euro, che ha una disponibilità complessiva di 500 miliardi di euro, di cui ben 450 disponibili ad essere immessi sul mercato. Ancora una volta Berlino, con la scusa del rigore, protegge la propria capacità produttiva, che, probabilmente, vedrebbe diminuita drasticamente la sua capacità commerciale se insidiata da produzioni effettuate sul continente.  Anche sul ruolo della Banca europea per gli investimenti non ci sono opinioni univoche, l’utilizzo di questa leva finanziaria presuppone un aumento di capitale che non pare essere condiviso. Nonostante i buoni propositi non sembra che la nuova composizione del Parlamento europeo, almeno secondo le prime sensazioni, sia in grado di invertire la rotta che vede la Germania azionista di maggioranza, con tutto quello che ne consegue: eccessiva rigidità dei vincoli di bilancio, malgrado qualche sporadica attenuazione e conseguente crescita dei movimenti anti europei. Il momento delle decisioni è arrivato: senza una adeguata politica economica che consenta di diffondere il benessere tra i cittadini europei, la diffidenza  crescerà e l’obiettivo dell’unione politica diventerà irraggiungibile. Questa è la vera sfida della nuova Commissione europea.

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