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mercoledì 29 ottobre 2014
L'esercito irakeno riconquista territorio al califfato
Le truppe irakene starebbero invertendo la tendenza, che le ha viste finora soccombere di fronte all’esercito del califfato. Grazie all’aiuto di milizie sciite è stato riconquistato un importante agglomerato urbano, che conta circa 80.000 abitanti e si trova a 60 chilometri da Bagdad; la sua posizione, strategicamente importante, poteva favorire l’avanzata dello stato islamico verso la capitale del paese, la cui conquista è da sempre uno degli obiettivi degli integralisti, sia dal punto di vista simbolico, che militare. Dalla città riconquistata si poteva anche accedere alle regioni meridionali del paese, abitate prevalentemente dagli sciiti e mettere in pericolo questa popolazione invisa ai sunniti del califfato. Ora le forze regolari irakene puntano verso Falluja, roccaforte del califfato, la cui caduta, provocherebbe nelle fila dello stato islamico un contraccolpo psicologico non indifferente e potrebbe aprire la strada verso Al Raqqa la capitale dello stato islamico. Per ora questo obiettivo appare, però, troppo ambizioso, la conquista di Falluja appare tutt’altro che facile e si teme l’uso dei kamikaze per contrastare l’esercito di Bagdad, soprattutto in occasione della celebrazione della festa religiosa sciita dell’Ashura. La strategia militare irakena è sostenuta da una attività politica del premier, che cerca di coinvolgere maggiormente la parte moderata dei sunniti sul terreno di guerra. Accordi sarebbero stati presi con tribù sunnite per formare una divisione di 30.000 uomini da schierare contro le forze del califfato. Questa novità asseconda i piani statunitensi, che puntavano ad una forza presente sul terreno costituita da sunniti per non creare i presupposti per definire la guerra contro il califfato come una guerra di religione e conferma le intenzioni del premier irakeno, che nella scorsa visita in Iran, aveva affermato di non volere alcuna forza straniera sul suolo dell’Iraq. Nel contempo l’esecutivo di Bagdad sollecita l’uso della forza aerea americana ad azioni più precise, in grado di colpire le unità dello stato islamico in maniera più decisiva: è stato infatti stimato, che soltanto il 10% degli attacchi aerei hanno centrato i bersagli; questo dato, se confermato, sarebbe un chiaro segnale di come lo spazio di manovra per migliorare l’impatto dal cielo sarebbe molto migliorabile, risultando maggiormente decisivo; questo aspetto potrà essere migliorato con una maggiore integrazione e coordinamento tra le componenti dell’alleanza che combattono in prima linea. Malgrado la timida avanzata dell’esercito irakeno, le carenze organizzative che lo affliggono sono ancora notevoli, ma una ristrutturazione durante il conflitto appare molto complicata e potrebbe complicare l’assetto in modo deleterio, tuttavia fenomeni come la corruzione, sempre elevate all’interno delle truppe, e la mancata amalgama tra sciiti e sunniti sono le emergenze da affrontare al più presto. Secondo il governatore in esilio di Mosul, la guerra potrebbe durare ancora per tre mesi, questa previsione allo stato dei fatti, appare ancora troppo ottimistica, la capacità militare del califfato è ancora consistente e le sue truppe starebbero, addirittura, programmando una controffensiva, secondo alcuni analisti. Resta pur vero che il califfato ha patito diverse sconfitte nel Kurdistan irakeno ad opera dell’azione congiunta dei peshmerga, assistiti dall’aviazione statunitense e la città di Kobane, che costituiva un importante obiettivo per lo stato islamico, sta resistendo strenuamente con concrete prospettive di non cadere nelle mani degli integralisti. Il quadro di insieme, quindi, pur restando preoccupante, registra qualche novità positiva che può fare ben sperare per la sconfitta degli integralisti.
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