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mercoledì 8 ottobre 2014

Obama criticato per la sua politica della sicurezza internazionale

Le dure critiche che l’ex Segretario alla Difesa USA, Leon Panetta, ha fatto sulla politica di sicurezza del Presidente americano Obama, vanno ad aggiungersi a quelle di alti funzionari usciti dall’amministrazione della Casa Bianca, tra cui l’ex Segretario di Stato e probabile prossima candidata democratica alle elezioni presidenziali, Hillary Clinton. La recente frase di Obama, che ha spiazzato tutto il panorama diplomatico, circa la possibilità che la guerra contro lo stato islamico possa durare anche trenta anni, ha, sicuramente, messo in evidenza come il capo della principale nazione mondiale si trovi nell’incertezza più assoluta di fronte ad un fenomeno che era stato rilevato come potenzialmente molto pericoloso da più parti. Cero l’ipotesi di un allargamento dell’influenza jihadista ben oltre la Siria e l’Iraq, con uno sconfinamento in Africa, dove già operano movimenti affini per modalità ed ideologia, pone la questione all’intero consesso mondiale su come arginare questo pericolo. Il Presidente statunitense, però, pur partendo da una gestione del terrorismo islamico globale, approssimata ed incerta, ha probabilmente prospettato un tempo così lungo per combattere il fenomeno, se saranno soltanto gli USA a svolgere principalmente la funzione di principale avversario dei jihadisti. Appare chiaro come una coalizione, che sappia rompere gli schemi diplomatici precostituiti possa vincere in un tempo relativamente breve, ma questa alleanza è tale solo sulla carta ed  è rappresentativa soltanto di una incompiutezza generale. Questi rilievi sono ben chiari ai componenti dello Stato islamico, che sfruttano divisioni e lungaggini decisionali, per operare d’urgenza la conquista ed il loro radicamento sul territorio. Certamente il rilievo che una diversa gestione delle questioni mediorientali, avrebbe evitato questa avanzata delle forze del califfato risulta essere vera. La politica estera di Obama è stata condizionata da una campagna elettorale basata sul rientro a qualsiasi costo dei soldati americani dall’Iraq, ma alla pessima gestione del passaggio democratico del paese dal regime di Saddam, si poteva ovviare con un maggiore controllo politico. Il giudizio sulla tenuta istituzionale irakena è stato da dilettanti delle relazioni internazionali, così come sulla effettiva capacità delle forze armate. Sono due rilievi non da poco, perché sono alla base della diffusione e della capacità militare dello Stato islamico, che ha saputo approfittare della divisione tra sunniti e sciti, e del troppo potere concentrato nelle mani di questi ultimi, impadronendosi, inoltre delle attrezzature militari americane, fornite alle forze armate di Bagdad, che gli consentono l’attuale predominio sul terreno. Tuttavia a queste mancanze si sarebbe potuto mettere rimedio, se la zona dei combattimenti si fosse  limitata al territorio dell’Iraq: quello che ha fatto precipitare la situazione è stata la conquista di vaste porzioni della Siria da parte degli integralisti, un terreno ben più difficile da controllare per i tanti interessi politici che ruotano intorno a questo paese. Obama ha sbagliato ha non sviluppare delle strategie per fare cadere Assad, accontentandosi di un trattato, limitato e facilmente aggirabile sulle armi chimiche.  La scelta, quindi, di non armare la parte laica dei ribelli è stata una conseguenza ed un omaggio alle trattative sul nucleare iraniano, che, in quel momento, costituiva l’obiettivo principale in politica estera e che ha fatto perdere di vista le situazioni emergenti, riuscendo, oltretutto, a peggiorare i rapporti con le monarchie sunnite del Golfo Persico. Queste constatazioni, che sono difficilmente confutabili, costituiscono però un precedente che la casa Bianca non potrà non valutare e soprattutto ricordare per il futuro. L’avanzata del califfato costituisce oramai un pericolo globale per gli interessi americani, malgrado la percezione contraria della maggioranza del popolo statunitense; Obama, favorito dalla scadenza del proprio mandato, può ancora prendere delle decisioni che possono andare contro l’opinione pubblica, riscuotendo i crediti in una fase successiva: quando gli storici affronteranno i suoi otto anni di governo. Ma il contagio dell’islamismo radicale è ormai troppo vasto per operare un contrasto in modo preminente da un solo paese, seppure questo, gli USA, è il più potente del mondo. Oltre alle difficoltà interne, Obama dovrà fare fronte alle crescenti resistenze internazionali, che stanno maturando sempre più velocemente in un contesto diplomatico in continua evoluzione. Le critiche, quindi, sono corrette, ma devono superare la fase della sola contestazione e diventare costruttive per favorire una dimensione di intervento decisa ed appropriata, ma, soprattutto, molto veloce.

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