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lunedì 17 novembre 2014
Il negoziato sul nucleare iraniano ad un punto decisivo
La necessità di concludere l’accordo sul nucleare iraniano, si scontra con le situazioni contingenti di politica interna ed estera delle parti in causa. La scadenza del 24 novembre, termine fissato per quella che doveva, secondo le migliori previsioni, essere la data entro la quale si doveva raggiungere un accordo definitivo, si sta avvicinando velocemente, senza che le prospettive positive siano realmente concrete. Nel gruppo dei 5+1 (Cina, Germania, Stati Uniti d'America, Francia, Regno Unito, Russia), il sospetto, che dietro la volontà di realizzare reattori nucleari a scopo civile, vi siano in realtà, finalità militari. Il gruppo dei 5+1, pur essendo eterogeneo, dal punto di vista diplomatico, per obiettivi strategici e geopolitici ed anche in contrasto al suo interno, ha raggiunto un giudizio pressoché unanime sulla necessità di impedire all’Iran di entrare nel club dei possessori dell’ordigno nucleare. Inoltre altri attori regionali, come Israele ed Arabia Saudita sono fortemente contrari allo sviluppo della tecnologia nucleare di Teheran, sulla cui sincerità degli scopi nutrono forti dubbi. Tra l’altro una possibile conseguenza dell’esasperazione della monarchia saudita, che ha già peggiorato molto i rapporti con Washington proprio per la volontà statunitense di portare avanti il negoziato a tutti i costi, potrebbe proprio essere quella di sviluppare un ordigno nucleare per bilanciare il possibile arsenale iraniano; mentre non sono da trascurare i sempre presenti propositi israeliani di attaccare l’Iran per bombardare i siti di ricerca atomica. Teheran ha sempre proclamato la natura pacifica delle sue ricerche, negando con decisione ogni proposito militare, ma ha dovuto subire la pressione delle sanzioni economiche, che ne hanno indebolito fortemente la struttura produttiva ed hanno creato una pesante inflazione. Per la Casa Bianca, la soluzione del problema ha sempre rappresentato una priorità, che è divenuta più urgente da quando l’Iran, seppure in modo informale, si è schierata al fianco delle forze irakene per combattere lo Stato islamico. Tra i due paesi, sempre formalmente nemici, sono state avviate trattative segrete per arrivare a sancire un accordo che certifichi la natura civile del progetto iraniano e, nello stesso tempo, lo liberi dalle sanzioni economiche. L’opinione del Segretario di stato USA, John Kerry, è che l’occasione di risolvere la controversia in modo pacifico sia vicina, ma, al contrario, un fallimento delle trattative potrebbe rappresentare uno scenario molto pericoloso per gli equilibri mondiali, perché andrebbe a compromettere in maniera ulteriore la situazione, già molto difficile, della regione mediorientale. Allo stato dei fatti risulta difficile dare torto al Segretario di stato americano: l’Iran, in questo momento, è essenziale per il contenimento dello stato islamico, ma anche in una prospettiva più ampia, la stabilizzazione dei rapporti tra Washington e Teheran costituirebbe l’inizio certo di una via per la chiusura di un fronte sempre molto pericoloso. Anche in un’ottica della gestione delle risorse energetiche più globale, vi è l’interesse che l’Iran rientri tra i grandi produttori di petrolio, posizione persa con le sanzioni. Tuttavia, aldilà, delle migliori intenzioni presenti tra i negoziatori, le questioni pratiche sono quelle che determineranno l’esito della trattativa. La questione centrale è rappresentata dalle potenzialità delle centrifughe in relazione alle loro capacità di arricchire l’uranio, argomento determinate per la costruzione degli ordigni atomici. Un ulteriore punto controverso è la natura e la periodicità delle ispezioni, sulle quali l’accordo con l’Iran non pare essere affatto vicino. Teheran ha adottato la tattica di accelerare i tempi, per cercare di spuntare prima possibile le migliori condizioni, ma a questa volontà del tutto e subito appare irrealizzabile per gli intendimenti dei negoziatori del gruppo del 5+1. Il problema concreto è che senza un accordo su tutti i punti non vi è accordo su nulla, tutte le diverse situazioni oggetto di negoziato devono raggiungere una soluzione soddisfacente per le parti, altrimenti il risultato complessivo sarebbe compromesso. Per queste ragioni una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata da un nuovo rinvio della scadenza, questa possibilità è però vista con preoccupazione per le difficoltà presenti negli scenari politici interni di alcuni paesi che prendono parte alla trattativa. Questo fattore è specialmente presente negli Stati Uniti, dove la maggioranza al congresso raggiunta dai repubblicani, potrebbe costituire un ostacolo alle intenzioni di Obama, mentre in Iran si ha una situazione speculare con la crescita di importanza dell’ala dura del regime, che si oppone ad accordi giudicati troppo penalizzanti per il paese. Lo scenario sembra quindi essere meno ottimistico di quanto la diplomazia voglia fare apparire, la fretta potrebbe essere un ostacolo ulteriore, ma la necessità di raggiungere un accordo in tempi brevi potrebbe determinare il raggiungimento di un accorso non del tutto soddisfacente per entrambe le parti, lasciando praticamente la questione sempre in sospeso.
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