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mercoledì 31 dicembre 2014

La Palestina chiede l'adesione alla Corte penale internazionale

La risoluzione all’ONU, presentata dalla Giordania con l’appoggio di altri paesi arabi ed africani e, tra gli altri di Argentina e Francia, per la soluzione del problema palestinese con la soluzione dei due stati Israele e Palestina entro i confini fissati dall’accordo del 1967 è stata respinta grazie al voto contrario di Stati Uniti ed Australia. Le motivazioni di Washington per il voto contrario si sono riferite alla necessità di un clima migliore tra le due parti, il cui rapporto continua ad essere troppo teso; in realtà questo rifiuto rientra nella strategia di Obama di rimandare ogni futura azione, anche diplomatica, che riguardi il problema palestinese all’esito delle votazioni in Israele. La Casa Bianca spera in una sconfitta dell’esecutivo uscente, che potrebbe favorire una ripresa dei negoziati su basi più solide. Anche l’Australia ha giustificato il suo rifiuto con la necessità che le controparti ottengano un risultato positivo da un confronto capace di trovare una sintesi ad una soluzione definitiva, anziché coinvolgere le Nazioni Unite. Certamente questa eventualità sarebbe migliore, ma quello che è mancato finora è stata la volontà di Tel Aviv, che si è prodotta in una tattica di continui rinvii con scuse spesso pretestuose. Certamente una sconfitta elettorale di Netanyahu favorirebbe senz’altro il cambiamento di clima, necessario per una ripresa del dialogo con maggiori possibilità. Tuttavia per i palestinesi l’esito delle elezioni israeliane non è così scontato, come non lo è per tutti i paesi che hanno appoggiato la risoluzione bocciata. A livello complessivo vi è comunque l’accordo su di una maggiore necessità di un coinvolgimento delle parti, ma a questo convincimento, deve essere specificato, fino ad ora non sono seguite azioni concrete, soprattutto dei paesi occidentali, eccezione fatta per la Francia, che aveva appoggiato la risoluzione giordana. Importante e senz’altro da valutare in maniera più approfondita è anche l’appoggio russo, che deve essere letto ben oltre le motivazioni di esercitare un contrasto all’azione americana. Il risultato negativo non favorisce Abu Mazen, che ha subito pesanti critiche in patria, per l’eccessivo uso della diplomazia ed i contrasti interni rischiano di fare degenerare la posizione palestinese verso derive più estremiste. Questa eventualità favorirebbe Netanyahu, soprattutto in una campagna elettorale impostata sui temi del terrorismo e contro le pretese palestinesi. Per questa ragione Abu Mazen ha bisogno di un risultato tangibile che gli consenta di mantenere la leadership contenendo le spinte più estreme. Mazen, che intende comunque proseguire con una tattica diplomatica, chiederà l’adesione per la Palestina alla Corte penale internazionale, che darebbe la possibilità ai palestinesi di presentare la richiesta per  l’incriminazione dei leader israeliani per crimini di guerra, specialmente per i comportamenti assunti nei confronti della striscia di Gaza. Questa eventualità potrebbe portare Israele verso gravi conseguenze di ordine diplomatico e compromettere anche il rapporto con gli Stati Uniti, se giudicati colpevoli. Tel Aviv potrebbe essere ancora più isolata di quanto è adesso, specialmente in caso di conferma dell’esecutivo uscente. Già soltanto l’apertura di un procedimento internazionale contro i leader israeliani per le gravi imputazioni riguardanti il conflitto di Gaza, sarebbe comunque un successo per Abu Mazen, capace di attenuare la delusione per la mancata approvazione della risoluzione dell’ONU, che permetterebbe al Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese di arrivare alle elezioni israeliane con la speranza di un voto positivo, per poi riaprire le trattative. Resta da vedere se la mossa della richiesta di adesione alla Corte penale internazionale, necessaria per la stabilità interna, potrà avere simili ripercussioni in Israele e se non alimenterà piuttosto i voti favorevoli a Netanyahu. In quest’ottica l’atteggiamento attendista di Obama sembra rispondere maggiormente ad una tattica tesa a favorire la vittoria delle opposizioni israeliane. 

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