Nello Yemen è in corso una guerra civile, che aldilà del fatto interno ha implicazioni di carattere internazionale potenzialmente in grado di avere ripercussioni molto pesanti sugli equilibri globali. Il primo è il confronto indiretto che si sta sviluppando tra Iran ed Arabia Saudita, che non è solo di tipo geopolitico, ma anche, e non in modo secondario, tra sciiti e sunniti. Questo aspetto inquadrato nello sviluppo del terrorismo a livello mondiale, assume una particolare rilevanza, in quanto l’estremismo religioso del mondo arabo e, quindi islamico, è principalmente di matrice sunnita. La diffusione di questo fenomeno su scala globale, che non riguarda soltanto i casi più emergenti, costituiti dallo Stato islamico, in Siria ed Iraq, Boko Haram e le milizie sunnita in Africa e nella sponda meridionale del Mediterraneo, ma anche, sebbene con connotazioni differenti, il problema degli Uiguri in Cina ed i territori caucasici della Russia; senza contare i problemi delle periferie europee dove la mancata integrazione ha favorito una coscienza islamica, che ha favorito i preoccupanti fenomeni di reclutamento e di atti terroristici isolati. Teheran si è sentita accerchiata dalla crescita di un fenomeno, che poteva intaccare perfino la sua integrità territoriale e diminuire la propria influenza religiosa. Dietro queste ragioni vi è la scelta di un impegno, non in prima persona, ma concreto nello Yemen, che risulta assolutamente equivalente a quello assunto direttamente in Iraq, con le proprie truppe, contro gli effettivi del califfato. La volontà iraniana è quella di effettuare un contenimento della diffusione dei sunniti, non tanto come pericolo terroristico, quanto come eccessiva concentrazione di potenza militare, capacità politica ed aumento della sovranità territoriale. Il primo livello che si vuole combattere è quello non convenzionale, le truppe del califfato, che oltre ad estendere i loro domini, hanno messo in pericolo Damasco, considerato un alleato fondamentale ed il Libano, dove la presenza di Hezbollah, garantisce un presidio degli sciiti. Si tratta di elementi chiave nel quadro della politica estera iraniana, che ha imparato a sopravvivere agli effetti dell’isolamento delle sanzioni per la questione nucleare ed ora vuole ricoprire un ruolo di potenza regionale all’interno del medio oriente dal punto di vista politico militare, quindi geopolitico, ma, anche, di innalzare la sua influenza religiosa, contrapponendo il suo ruolo, mai perduto, di paese leader degli sciiti ai leader riconosciuti dei sunniti: l’Arabia Saudita. Non sembra possibile che Teheran voglia esercitare una espansione della propria influenza, quanto piuttosto assicurarsi il presidio in zone dove la presenza sciita ne giustifichi la tutela. Nel caso irakeno, Teheran è direttamente scesa in campo per proteggere le etnie sciite dalle persecuzioni del califfato sunnita, ricoprendo un ruolo strategico per gli Stati Uniti, ma sollevando le proteste di Riyadh. Questo scenario è un errore degli Stati Uniti, che non hanno voluto dividere un paese già praticamente separato, dove la dominazione di Saddam Hussein aveva dato il potere ai sunniti, i quali se lo sono visti sottrarre dagli sciiti, diventando, nella prima fase di espansione del califfato, alleati dello Stato islamico. Una divisione in tre parti, sunniti, sciiti e curdi, avrebbe, probabilmente agevolato la gestione del potere ed impedito la diffusione delle milizie sunnite in territorio sciita. Una delle ragioni per cui non si è voluto dividere lo stato irakeno è stata quella di pensare di creare uno stato laico senza le invadenti influenze religiose, cosa impossibile per il radicamento del fenomeno confessionale. Nello Yemen la situazione è analoga con la variabile di Al Qaeda al posto del califfato. Il confronto tra sciiti e sunniti si sta facendo molto aspro, anche per le interferenze indirette di Iran ed Arabia Saudita, che non intendono abbandonare le rispettive parti anche per non perdere il possibile controllo sul paese. Per Riyadh, poi, l’estrema vicinanza al proprio territorio obbliga una attenzione particolare, che potrebbe anche prevedere una azione diretta con le proprie truppe. Questo scenario non lascia presagire nulla di buono ed annuncia una nuova emergenza a livello globale, frutto di un confronto che è sempre esistito ma non ha mai avuto occasioni di diventare un coinvolgimento diretto. Se la tensione sale in modo ufficiale tra i due stati capofila delle due principali correnti dell’islamismo, le conseguenze possono arrivare, data l’implicazione della produzione energetica, ad avere conseguenze nefaste per l’economia globale. Ancora una volta sembra una situazione sfuggita di mano agli Stati Uniti, che dovranno adoperarsi al più presto per ricomporre la situazione, mediante un impegno diplomatico senza dubbio incessante.
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