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mercoledì 18 marzo 2015

Le elezioni consegnano Israele a Netanyahu

Alla fine l'appello alla sicurezza dello stato, contro il nemico palestinese ed arabo, ha fatto vincere Netanyahu, bravo a rovesciare i sondaggi negativi, che davano come improbabile la sua vittoria elettorale. Dal punto di vista numerico i circa 30 seggi conquistati dal Likud devono essere letti in due modi, il primo è quello che consegna al partito del premier uscente, il primo posto nella campagna elettorale, ma molto distante dalla maggioranza assoluta dei 61 seggi necessari per governare, il secondo è che il risultato è molto migliorativo dei 18 seggi conquistati nell’ultima elezione. Soprattutto questo secondo dato parla di come il paese sia stato conquistato dai temi della sicurezza, vista in chiave nazionalista, piuttosto che dagli aspetti economici, come era stato prospettato. Se questi temi fossero stati al centro delle valutazioni degli elettori, il giudizio su Netanyahu avrebbe potuto essere così positivo. Israele è in preda ad una grave crisi economica, aggravata da una eccessiva diseguaglianza presente nel tessuto sociale del paese, proprio grazie alla politica economica del precedente governo. Molti analisti si sono soffermati su questi problemi affermando e prevedendo, che sarebbero stati quelli in grado di cambiare l’indirizzo politico del paese: ma così non è stato. Contrariamente alle previsioni, Netanyahu ha saputo, invece, intercettare le paure degli elettori, favorite dalla presenza dello Stato islamico relativamente vicino, della pressione internazionale per la questione palestinese, percepita come una ingerenza e tranquillizzata dalla volontà del vincitore di assicurare la negazione di ogni possibilità per la creazione di uno stato palestinese. Se, da un certo punto di vista, questi timori possono essere in qualche modo compresi, l’Israele che esce dalle urne appare un paese ripiegato su se stesso, in balia di paure ataviche ed incapace di affrontare problemi annosi da nuovi punti di vista. La vittoria di Netanyahu rappresenta la chiusura al mondo e la tendenza, quasi autodistruttiva, a rimanere uno stato distante dalla realtà. Occorre ricordare che si è arrivati a queste elezioni anticipate proprio perché il premier ha voluto dare al paese una impostazione quasi confessionale, rifiutata non solo a sinistra ma anche al centro-destra, che ha fatto registrare adesioni convinte nella popolazione. L’ultimo appello ad andare a votare, evitando l’astensionismo, che ha fatto registrare una delle maggiori percentuali di affluenza alle urne, si è basato sulla constatazione che i palestinesi con cittadinanza israeliana si stavano recando alle urne in modo massiccio, proprio per alterare i rapporti di forza tra le parti; ed infatti il partito arabo israeliano è diventato la terza forza politica del parlamento. Il significato dell’adesione degli israeliani a questo appello è uno dei motivi tecnici della vittoria del Likud e delle formazioni di destra e sancisce l’avversione tra la maggioranza del tessuto sociale israeliano ed i vicini palestinesi e, di conseguenza, cancella ogni prospettiva della soluzione dei due stati, che era inserita nel programma elettorale del centro-sinistra. Questo risultato cancella anche l’auspicio del Presidente della Repubblica di creare un governo di unità nazionale: ormai le parti politiche sono troppo distanti, come troppo differenti sono i programmi politici. Israele si avvia così ad un governo dove la destra nazionalista avrà maggiore voce in capitolo e probabilmente spingerà per una ancora maggiore occupazione dei territori, l’Autorità Palestinese interromperà ogni forma di dialogo e muoverà i suoi passi verso le Organizzazioni Internazionali, prima fra tutte la Corte internazionale di giustizia, obbligando il paese israeliano ad una esposizione e pressione internazionale fortemente negativa, che potrà causare ulteriore isolamento e forse anche sanzioni. Ma il dubbio maggiore riguarderà l’evoluzione dei rapporti con gli Stati Uniti, anche in relazione alla volontà di Washington di chiudere in maniera definitiva e positiva l’approvazione per l’uso civile della tecnologia nucleare all’Iran. Netanyahu ha l’appoggio del partito repubblicano, ma i rapporti con la Casa Bianca sono al minimo storico ed è difficile prevedere una svolta positiva dopo che Tel Aviv ha fatto fallire uno degli obiettivi principali che Obama si era dato in materia di politica estera: la creazione dei due stati. I due paesi, USA ed Israele, sono obbligati a collaborare, ma sul livello di questa cooperazione dipenderanno troppi fattori, come l’atteggiamento generale che il nuovo governo israeliano vorrà tenere e l’evoluzione dello scenario globale internazionale, che determineranno il grado di vicinanza tra le due capitali, in ogni caso quello che si preannuncia è un rapporto molto complicato.

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