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mercoledì 4 marzo 2015
Le visioni opposte di Obama e Netanyahu sul nucleare iraniano
A parte i lunghi applausi tributati dai componenti repubblicani, ed anche da qualche democratico, del Congresso statunitense, il discorso di Netanyahu non ha portato alcuna novità e neppure alcuna forma di strategia alternativa alle solite minacce provenienti dall’Iran, che, con la bomba atomica, sarebbe un pericolo per la stabilità regionale e per la sicurezza di Israele. Da un lato si possono comprendere i timori e le analisi del premier israeliano: in effetti una nuova possibile potenza nucleare nell’area mediorientale, diventa un elemento di alterazione di equilibri alquanto precari; ancora di più se questa nazione è governata da un potere teocratico, che, malgrado i miglioramenti rispetto all’esecutivo precedente, non assicura l’applicazione dei diritti civili e politici ed è protagonista di volontà ambiziose nell’ambito geopolitico. Per le relazioni internazionali il problema di fondo è che nessuno dei due stati vuole riconoscere l’altro e che mantengono nell’ambito del loro rapporto a distanza, pesanti elementi di distanza, che potrebbero essere eliminati soltanto con un programma politico condiviso. La base di partenza, come bene individuato da Obama, dovrebbe essere la creazione dei due stati, con la Palestina finalmente sovrana, che rappresenterebbe un obiettivo raggiunto anche per l’Iran, capace di interrompere la sua influenza strategica sugli Hezbollah libanesi, che, a quel punto, almeno per quanto riguarda Israele, cesserebbero il loro scopo. La creazione dei due stati dovrebbe fare cessare, o almeno attenuare, le ragioni di inimicizia tra Teheran e Tel Aviv, che potrebbero arrivare ad un reciproco riconoscimento internazionale, in un clima non di amicizia, ma di rispetto. Questo ragionamento, stava alla base dell’obiettivo fissato da Obama per Kerry, ma che è stato ostacolato in tutte le maniere da Netanyahu, per motivi che sono stati percepiti più che altro di ordine interno: lo sviluppo delle colonie in spregio dei trattati internazionali. L’esecutivo di Tel Aviv non ha compreso che realizzando il progetto dei due stati, poteva risolvere questioni internazionali ben più importanti di quelle di ordine interno, questioni, che, soprattutto, interessavano in maniera particolare al suo alleato più importante: gli Stati Uniti. In un quadro, peraltro allo stato attuale molto ipotetico, di pacificazione con la Palestina, raggiungere un accordo con l’Iran sul tema del nucleare, sarebbe stato molto più facile ed avrebbe permesso a Washington di chiudere una questione ritenuta molto importante per la scena internazionale. Gli Stati Uniti, però dopo il discorso di Netanyahu, devono perseguire il loro obiettivo , malgrado la posizione di Israele; non che questo fosse un dato inatteso, ma da ora in avanti Obama procederà a tappe forzate lasciando Tel Aviv in un certo stato di isolamento nei confronti della questione. D’altro canto la strategia del Presidente americano appare al migliore: se si vuole controllare lo sviluppo della tecnologia atomica iraniana è molto più sicuro farlo attraverso accordi diplomatici, che affrontare il problema frontalmente, anche con mezzi militari, come vorrebbe fare il leader israeliano. Si tratta della strategia più economica possibile in tutti gli ambiti e che consente anche di riaprire canali diplomatici con un paese, il cui isolamento, non giovava ad alcuno, sia dal punto di vista politico, che economico. Tuttavia la posizione di Netanyahu è condivisa dalla destra americana, che vede con sospetto anche la collaborazione ufficiosa tra Iran ed USA, che si sta sviluppando contro lo Stato islamico. In Israele temono questi sviluppi ed il leader di Tel Aviv ha dichiarato al Congresso che il nemico del tuo nemico non è il tuo amico, riferendosi proprio alla questione della intesa militare contro il califfato e riscuotendo diversi applausi. Netanyahu ha comunque riconosciuto ad Obama la sua amicizia al popolo israeliano, manifestata con atti conosciuti ed anche con altri non conosciuti, ammettendo implicitamente che la collaborazione tra i due stati, malgrado le diverse differenze di vedute continua comunque. D’altra parte l’atteggiamento americano con l’Iran è tutt’altro che succube: le sanzioni a cui Teheran è stata sottoposta sono la prova, che gli USA hanno esercitato una pressione notevole sul paese iraniano, colpendo una economia messa in grossa difficoltà dai provvedimenti pensati da Washington. La sensazione è che i toni di Netanyahu, pur collocati nella linea di comportamento fin qui mantenuta, siano stati esasperati da motivi elettorali, si comprenderebbe così come i toni verso Obama siano stati volutamente meno tesi del solito.
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