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giovedì 19 marzo 2015
L'occidente deve aiutare la Tunisia
L'attacco alla Tunisia deve costituire per tutto l'occidente, ma soprattutto per l’Europa ed in particolare per i paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, un chiaro segnale che deve determinare una volontà di azione capace di andare oltre i discorsi di circostanza. Quello di cui stiamo parlando è l’unico paese dove la democrazia ha attecchito, la democrazia nella forma sperata da tutti i paesi occidentali, arrivata quasi subito ad una fase di maturità grazie ad una evoluzione istituzionale garantita dalla predisposizione della maggioranza del popolo tunisino ad un reciproco rispetto delle parti in competizione per il governo democratico. In Tunisia convivono formazioni religiose moderate, che siedono in parlamento vicino a formazioni laiche e senza l’interferenza dei militari, che garantiscono l’assetto costituzionale non sfruttando il monopolio della forza. Tuttavia la Tunisia è anche uno dei paesi che ha fornito uno dei maggiori contingenti stranieri all’esercito dello Stato islamico, è il paese che confina con l’Algeria e la Libia, paesi vittima dell’integralismo islamico, le cui milizie attraverso la comune frontiera, vogliono inquinare e destabilizzare l’unico esempio riuscito di democrazia della primavera araba. Vi sono ancora versioni non concordi su quale era il reale obiettivo dei terroristi: se era veramente il museo più antico del mondo arabo o l’adiacente parlamento, dove si stava discutendo una legge contro il terrorismo. In entrambi i casi la portata dell’attacco era rivolta a portare dissesto in un paese dove gli equilibri democratici sono ancora fragili, ma sempre più essenziali, sia per la stessa Tunisia, come è ovvio, che per i paesi europei del Mediterraneo. In Libia si è fatto una guerra giusta per abbattere una dittatura, ma poi si è abbandonato il paese a se stesso, senza che avesse istituzioni solide per portare avanti il processo democratico essenziale per la formazione del nuovo stato. Si è trattato di un errore praticamente uguale a quello compiuto dagli americani in Iraq, che hanno lasciato un stato da solo, senza attenderne la stabilizzazione necessaria. La Tunisia, per ora, era riuscita a fare da sola, dal suo interno, il processo di rafforzamento delle nuove istituzioni, diventando, però, un simbolo pericoloso per i seguaci del radicalismo religioso. Nonostante l’attentato le istituzioni sembrano ancora molto solide, ma è evidente che il paese non può essere abbandonato a se stesso, soprattutto di fronte alle forze estranee che puntano a rompere gli equilibri interni. Se vi è un momento adatto per l’occidente per impegnarsi in prima persona, nei confronti dell’unico paese dove lo stato non deve cadere, non può essere che questo. Deve essere sostenuta la sicurezza del paese con un presidio delle frontiere adeguato, anche attraverso collaborazioni militari, deve essere potenziato il controllo interno, per impedire agli integralisti del paese di nuocere e deve essere sostenuta una economia fragile, resa ancora più debole colpendo il settore importante del turismo. Si tratta non di un aiuto solo per il paese tunisino, ma di un investimento per la sicurezza occidentale. Dal punto di vista strategico una Tunisia più sicura, potrebbe poi rappresentare la base da dove operare contro le formazioni integraliste dell’Africa settentrionale, che si stanno avvicinando sempre più pericolosamente alle sponde del Mediterraneo. Portare in sicurezza le rive meridionali del mare Mediterraneo rappresenta una priorità ormai non più rinviabile e rinunciare all’unico stato stabile ed affidabile rappresenterebbe un suicidio politico per l’occidente. Viceversa aiutare concretamente il rafforzamento della democrazia e da qui esportarla come modello verso gli altri stati potrebbe essere il progetto vincente per stabilizzare la regione africana settentrionale, per poi coinvolgerla in forme di collaborazione verso una maggiore integrazione paritaria. Questa evoluzione potrebbe rappresentare la maggiore garanzia di stabilità politica ed una occasione di reciproco sviluppo economico. Ma per fare ciò occorre un sacrificio iniziale non da poco, che determini un coinvolgimento in prima persona degli stati occidentali con uomini e mezzi adeguati.
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