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venerdì 20 marzo 2015

Netanyahu cambia idea e apre alla soluzione dei due stati

Sono bastate 48 ore dall’elezione di Netanyahu, perché il vincitore della competizione elettorale tornasse indietro sui suoi propositi della soluzione dei due popoli e dei due stati. Dopo avere affermato che se fosse stato eletto lo stato palestinese non sarebbe mai esistito,  Netanyahu ha dichiarato di essere stato frainteso e di non volere venire meno agli impegni presi in precedenza. Questo cambiamento non deve sorprendere giacché è tipico di un personaggio politico abituato a dire tutto  e  il suo contrario  per trarne vantaggio. L’avere impostato una campagna sulle paure degli israeliani, sul terrorismo arabo, che poteva giungere anche grazie ai palestinesi ed avere esortato gli elettori ad andare a votare, perché gli arabi votavano in modo massiccio, testimoniano l’opportunismo di un personaggio politico abituato ad agire in modo spregiudicato per raggiungere i propri scopi. L’andamento delle trattative con i palestinesi e gli americani ha mostrato un uso sapiente di stop and go, funzionali soltanto a recuperare tempo utile per progredire negli insediamenti, che ha rappresentato un chiaro esempio di  tattica politica basato sull’inaffidabilità per le controparti, caratteristiche di un comportamento politico ai limiti della scorrettezza. Certo per la destra nazionalista,, questi metodi hanno rappresentato una garanzia circa gli intendimenti della politica daa perseguire, ma per gli alleati americani sono stati motivo di profonde tensioni, sfociate nell’attuale pessimo rapporto tra il premier israeliano e la Casa Bianca. Per Netanyahu e tutto Israele non basta avere dalla propria parte il potere legislativo statunitense saldamente in mano al partito repubblicano, senza una forma di convivenza con l’esecutivo, appare impossibile coordinare tutte quelle iniziative necessarie alla protezione del paese. Soltanto su questo aspetto si basa la clamorosa giravolta di Netanyahu, capace di riaprire alle trattative in modo sfrontato. Risulta credibile? Pare difficile dare credito a Netanyahu, dopo i comportamenti passati, il feroce accanimento sugli abitanti della striscia di Gaza e l’avere favorito la continua costruzione degli insediamenti, in spregio ad ogni convenienza politica, che non fosse quella di estendere il territorio israeliano. Eppure se è stato costretto a fare una dichiarazione diametralmente opposta ai suoi stessi sinceri intendimenti, significa che la pressione della Casa Bianca potrebbe essere  stata in grado  di fare cambiare le intenzioni del leader del partito vincitore, viceversa potrebbe anche essere stata una iniziativa di Netanyahu per cercare di rompere l’isolamento internazionale e presentarsi allo scenario internazionale con nuovi propositi. Sia come sia, senza fatti concreti e di una certa importanza il premier israeliano non risulterà credibile ed inoltre potrebbe perdere, ancora prima di essere nominato il consenso interno da chi lo ha votato proprio per la determinazione di essere contrario ad uno stato palestinese.   All’apparenza, quindi, sembra che Netanyahu si sia messo da solo in una situazione di apparente contrarietà, sostenendo una tesi opposta a d una di quelle per cui è stato eletto. Non è però neppure da escludere che abbia pesato una vittoria non del tutto netta, dove si è manifestata l’esigenza di mantenere un profilo più universale possibile. In ogni caso questa dichiarazione rappresenta uno stato che denota una mancanza di sicurezza, soprattutto nei confronti del panorama internazionale, e che necessita di guadagnare tempo in attesa delle consultazioni. Per quanto riguarda gli effetti sui palestinesi, non sembra che la conferma dei vecchi propositi abbia avuto effetto:  la disponibilità dei rappresentanti della Palestina sembra essere finita da tempo e l’intenzione di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia rappresenta il sintomo più evidente. In quest’ottica la propensione a riconsiderare la soluzione dei due stati, potrebbe essere una mossa d’anticipo, per riuscire a fare desistere i palestinesi, oppure a dichiarare l’impossibilità di trattare con chi ricorre ad organismi internazionali, formula, peraltro già usata. Il comportamento più difficile da adottare sarà però quello della Casa Bianca, che, dopo l’esito elettorale, dovrà adottare una linea di condotta inflessibile se vorrà arrivare all’obiettivo dei due stati. Paradossalmente e malgrado i rapporti di alleanza, l’avversario più difficile sarà ancora l’Israele di Netanyahu, che non dovrebbe cambiare la propria linea se non proprio dietro una maggiore pressione americana.

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