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martedì 7 aprile 2015

La politica estera italiana più propensa ad usare l'opzione del dialogo rispetto a quella militare

La politica estera italiana pensa ad una serie di soluzioni diplomatiche, prima di utilizzare le opzioni militari, seppure previste come soluzioni estreme. Sul contrasto al terrorismo il Ministro degli esteri italiano ha affermato che esiste anche l’opzione militare, d’altronde Roma fa parte della coalizione che si è formata contro lo Stato islamico, ma soluzioni ad ampio spettro, del tipo di quelle adoperate per le guerre contro l’Iraq, che hanno previsto un grande dispiegamento di mezzi, vengono ritenute controproducenti, perché  portano un alto livello di destabilizzazione all’interno dei paesi dove vengono messe in atto. L’Italia sembra avere imparato la lezione irakena, che ha liberato una nazione dalla dittatura, per poi consegnarla ad una instabilità politica esasperata, che, di fatto ha reso estreme le differenze all’interno del paese, contribuendo a generare il fenomeno del califfato. Se proprio devono essere usati degli interventi militari devono essere brevi e circoscritti e soprattutto sostenuti da un adeguato impiego di azioni diplomatiche. L’obiettivo è di aprire dei dialoghi tra le parti in conflitto più moderate, per favorire terreni di intesa capaci di superare il confronto armato. Se questa esigenza è tipica di una media potenza, come è il paese italiano, che non dispone di una grande disponibilità di uomini e mezzi, anche gli Stati Uniti del Presidente Obama, sembrano allinearsi verso la ricerca del dialogo come uno degli strumenti principali delle relazioni internazionali, anche con quei soggetti abitualmente su posizioni contrarie. Certo esistono dei casi limite, purtroppo sempre più frequenti, dove non lo strumento del dialogo non è possibile, come, appunto lo Stato islamico, Al Qaeda, Boko Haram e tutta la galassia di gruppi terroristici estremisti di ambito confessionale. Ma anche contro questi nemici è necessaria, a complemento dell’uso della forza, la tattica del dialogo, che deve investire le parti moderate della società islamica e sapere coinvolgere gli stati, dove la religione è elemento preponderante, a combattere, non solo a parole, contro le forze estremiste. Si tratta di tattiche che richiedono lungo tempo e grandi sforzi, ma che se riescono a raggiungere l’obiettivo prefissato, possono garantire una maggiore stabilità e durata del risultato finale. Nello specifico, il Ministro degli esteri italiano è conscio del problema del conflitto all’interno del mondo islamico e delle sue conseguenze, ma la soluzione non è quella di alimentare il confronto, quanto quella di mediare tra le parti, per fare cessare i confronti armati. L’Italia ricopre la carica di Alto Commissario per la politica estera dell’Unione Europea, questo fatto giunto alla capacità di mediazione del paese italiano, può favorire un ruolo per Roma, che, partendo dalle retrovie, sappia diventare protagonista, per soluzioni delle varie crisi improntate alla negoziazione, pur restando nel quadro della politica estera comunitaria e dell’Alleanza Atlantica. La politica del dialogo non deve essere portata avanti soltanto con le trattative ufficiali, ma soprattutto , attraverso la cooperazione e gli aiuti internazionali, veri strumenti concreti, capaci di vincere la diffidenza e conquistare la fiducia delle popolazioni. La politica estera italiana deve trovare anche il modo di assicurare una efficace protezione alle popolazioni di religione cristiana, che, secondo le statistiche, sono le più perseguitate: anche in questo caso è necessario favorire il dialogo con iniziative capaci di coinvolgere le autorità religiose e politiche per favorire la pacifica convivenza.  

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