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mercoledì 22 aprile 2015
L'Arabia Saudita dichiara la fine dei bombardamenti nello Yemen
La campagna militare condotta nello Yemen, dall’Arabia Saudita, con l’aiuto di Egitto, Giordania, Kuwait, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Sudan e Marocco, si è conclusa dopo 27 giorni di attacchi aerei e bombardamenti, che hanno portato il paese ad una grave crisi umanitaria. Si è trattato di una azione improntata su basi religiose e geopolitiche, che avevano come obiettivo di impedire alla minoranza sciita e quindi all’Iran, di prendere il sopravvento nel paese. La coalizione sunnita ha voluto mantenere il controllo su di una zona strategica, anche per le rotte commerciali, che dal Mar Rosso si dirigono verso il canale di Suez. Secondo i sauditi, gli obiettivi militari sarebbero stati raggiunti con la distruzione delle armi pesanti in mano ai ribelli houti. Il bilancio finale dell’operazione parla di oltre 900 morti e più di 3.400 feriti, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Conclusa la fase militare, il che non esclude una ripresa delle azioni belliche in caso di nuove necessità, l’Arabia Saudita ora intende affrontare il problema in maniera differente, partendo dalla ricostruzione del paese yemenita. L’intenzione è quella di adoperare un insieme di strumenti formati da misure militari, politiche e diplomatiche, che dovranno servire per combattere il terrorismo, non solo quello dei ribelli houti, ma anche quello di Al Qaeda, tradizionalmente forte sul suolo dello Yemen, come richiesto da Washington, fornire aiuti umanitari alla popolazione, consistenti in cure mediche e cibo e fornire l’aiuto agli stranieri ancora presenti sul territorio. Tuttavia gli houti, ai quali il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha imposto un embargo sulle possibili forniture di armi, mantengono ancora il controllo della capitale, che non pare affatto riconquistata; è probabile che i sauditi intendano ora, aprire una fase nuova, che dia maggiore autonomia alla minoranza, che rimane, comunque, un terzo del paese. Questo anche perché gli houti, pur essendo sciiti, in realtà non avrebbero chiesto l’appoggio iraniano, essendo piuttosto indipendenti da Teheran. L’Iran si sarebbe assunto il ruolo di loro protettore in maniera autonoma e con finalità funzionali ai propri interessi, approfittando della firma del trattato di Losanna e dei successi militari conseguiti sul terreno contro il califfato. Il problema degli houti nello Yemen è una costante della politica interna del paese ed è, di fatto, slegato dal confronto tra Arabia Saudita ed Iran. Sono state le condizioni contingenti, causate dalla firma sul negoziato preliminare circa il nucleare iraniano e l’avanzata militare contro lo Stato islamico a provocare la reazione saudita, che ha anticipato ogni possibile forma di ingerenza di Teheran, che consentisse al paese sciita di estendere la propria influenza sullo Yemen, che, è bene ricordarlo, per due terzi è popolato da sunniti. Nonostante la fine delle azioni aeree, verranno mantenute misure militari sul mare, con il blocco navale del paese; questa misura mira ad impedire eventuali azioni della marina iraniana, già presente nel Golfo di Aden, con la giustificazione di essere impegnata in azioni contro la pirateria navale. Se dietro queste azioni vi è stato il timore di una avanzata iraniana, occorre tenere presente la situazione economica e sociale del paese yemenita, che resta uno dei più poveri della regione, con evidenti problemi di distribuzione delle risorse, fattore che sembra essere alla base della ribellione degli houti, che ha dato origine al conflitto. Ma ciò ha costituito l’occasione per l’Arabia Saudita di ristabilire la propria zona di influenza, impedendo che il paese andasse incontro ad una deriva di tipo terroristico, con Al Qaeda pronta a sfruttare il caos istituzionale e, nel contempo, mettere le cose in chiaro con l’Iran, che si è già troppo espanso in Iraq.
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