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venerdì 17 aprile 2015
Le Nazioni Unite chiedono il cessate il fuoco nello Yemen
Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto il cessate il fuoco a tutte le parti coinvolte nel conflitto dello Yemen per favorire la creazione di corridoi umanitari; infatti nel paese yemenita la situazione sanitaria è diventata di emergenza, soprattutto per la popolazione civile e vi è il concreto timore che si possa ripetere la crisi umanitaria presente in Siria. D’altra parte vi sono analogie con il conflitto siriano, che è degenerato da guerra civile a conflitto terroristico e a cui è dipesa la profonda destabilizzazione regionale. Proprio per evitare una possibile alterazione di un paese strategico come quello che si estende sulla penisola yemenita, è scaturito l’impegno diretto dell’Arabia Saudita. Le Nazioni Unite hanno intrapreso una azione diplomatica, con l’intenzione dichiarata di evitare una guerra in una zona nevralgica anche per il passaggio delle navi commerciali dirette al canale di Suez e per gli equilibri regionali, ma il processo diplomatico portato avanti dal mediatore dell’ONU, Benomar, non ha avuto gli esiti sperati, tanto che l’inviato ha annunciato le proprie dimissioni. Il fallimento non è però recente, dato che l’avvio della transizione politica risale al 2011; al centro di questo programma vi era l’intenzione di fare arrivare ad un accordo le parti in causa per rinforzare le istituzioni del paese e determinare la fine del disordine politico. Tuttavia la tattica dell’inviato dell’ONU è stata giudicata troppo conciliante con i ribelli sciiti, perché avrebbe lasciato troppo spazio all’iniziativa della minoranza religiosa; questo fatto è individuato come una della cause principali che hanno provocato l’intervento dei sauditi. Per la sostituzione di Benomar viene fatto il nome del mauritano Ould Cheikh Ahmed Ismail, che nel suo curriculum vanta la posizione di coordinatore dello sviluppo delle Nazioni Unite in Siria e nello stesso Yemen. Il compito che attende il successore di Benomar sembra molto difficile e la sola arma della diplomazia non pare sufficiente, se non sostenuta dall’appoggio di nazioni politicamente molto forti ed alleate dei paesi sunniti. L’identikit corrisponderebbe agli Stati Uniti, ma occorrerà verificare se Washington avrà voglia di impegnarsi in prima persona a dirimere una questione dove i principali avversari sono Arabia Saudita ed Iran. Certamente questa potrebbe rivelarsi una occasione per portare ad un negoziato i due grandi nemici in nome della divisione religiosa ed incominciare a ricercare la soluzione di un confronto che minaccia di diventare sempre più acuto. Questa visione appare però soltanto una ipotesi remota, per la profonda avversione che i sauditi hanno maturato sia contro Teheran, che contro Washington, dopo che è stato firmato l’accordo di Losanna. Anzi proprio il raggiungimento di quell’accordo costituisce un’altra ragione per la quale l’Arabia Saudita ha deciso di impiegare i propri militari contro i ribelli Huthi. Per raggiungere un cessate il fuoco si dovrà sperare nella collaborazione di tutti e nella disponibilità ad affrontare un percorso istituzionale che consenta un certo grado di autonomia alla minoranza sciita, pur nel controllo dei sunniti e dell’Arabia che non intende cedere all’influenza sul paese yemenita. L’Iran, da parte sua, dovrà tenere un atteggiamento più distaccato, perché da una parte ha appena conquistato la firma di Losanna e sta attendendo l’attenuazione delle sanzioni e perché, dall’altra, la minoranza sciita dello Yemen è sempre stata piuttosto distaccata da Teheran e l’Iran non deve fornire il pretesto di volere difendere la popolazione sciita su base religiosa, quando in realtà vuole estendere la sua influenza sul paese yemenita. L’ONU, quindi, dovrà convincere tutti a compiere un passo indietro, impresa che resta non facile.
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