Il Senato americano cerca di rendere difficoltosa l'azione della Casa Bianca, in vista della ripresa delle trattativa, previste per il 12 maggio, che entro il 30 giugno, dovrebbero portare alla firma finale sulla questione del nucleare iraniano. La maggioranza dei senatori, infatti, ha votato praticamente all’unanimità la decisione di obbligare il presidente statunitense a presentare qualsiasi accordo raggiunto con Teheran sul nucleare, ribadendo che il Senato esercita legittimamente la propria azione di controllo. L’intenzione è quella di vagliare se l’eventuale accordo che si potrà raggiungere con l’Iran, non contenga facilitazioni per il paese sciita ad arrivare a costruire l’arma atomica, dopo che siano state sospese le sanzioni. I timori dei parlamentari repubblicani, condivisi anche da una parte di quelli democratici, sono quelle di firmare un accordo, che non permetta più di ristabilire le sanzioni, qualora l’Iran dovesse compiere progressi nel campo nucleare applicato al settore militare. Questa decisione non giunge inaspettata, il preaccordo raggiunto a Losanna, aveva deluso i repubblicani e tutti coloro che temono una escalation nucleare da parte dell’Iran a causa del numero di centrifughe, gli apparati necessari ad arricchire l’uranio, ritenuto troppo elevato e potenzialmente in grado di permettere a Teheran di accedere alla tecnologia necessaria per costruire ordigni atomici. Dopo il passaggio al Senato, sarà la Camera, verosimilmente la prossima settimana, ad esaminare il testo, che, con tutta probabilità, sarà approvato anche in questo ramo del parlamento. Obama, al contrario, intende emanare il testo senza le indicazioni del Congresso, rischiando, così, di arrivare ad uno scontro istituzionale, anche se la ratifica del trattato non è formalmente necessaria; tuttavia una legge espressamente studiata metterebbe in moto un meccanismo tale da consentire al Congresso il blocco dell’applicazione del trattato, qualora questo non venisse considerato in maniera positiva. Il Presidente americano, dovrebbe poi avere delle udienze con i parlamentari circa gli accordi raggiunti, in questo periodo l’esecutivo USA, non avrebbe la possibilità di eliminare alcuna sanzione per lo stato iraniano. Al termine la decisione del Congresso verrebbe scelta tra tre possibilità: approvare la revoca delle sanzioni, mantenerla o semplicemente astenersi. Soltanto nel secondo caso, Obama potrebbe porre il veto entro 12 giorni, situazione che il Congresso potrebbe ulteriormente superare con un limite di tempo di 10 giorni ed una maggioranza qualificata dei due terzi dell’assemblea. Questa maggioranza è ritenuta troppo alta per fare naufragare il trattato, ma se la vicenda prenderà questo svolgimento il conflitto istituzionale prenderà una forma molto rilevante. Ciò sarà un segnale molto forte dei sentimenti contradditori che attraversano gli Stati Uniti relativamente al trattato sul nucleare americano, anche se ciò rischia di estendersi al settore più squisitamente istituzionale, riguardando i rapporti tra Presidente e Congresso. Obama ha più volte considerato l’azione del Congresso, che dovrebbe essere puramente legislativa, una interferenza nella propria azione di governo, un rilievo non da poco in un sistema presidenziale, arrivando a definirla un tentativo di diminuire l’autorità politica della prima carica dello stato statunitense, creando, così, un possibile precedente negativo e di rilievo per i prossimi inquilini della Casa Bianca, impegnati in negoziati internazionali. L’osservazione di Obama colpisce la centralità della figura istituzionale del Presidente degli Stati Uniti nella sua azione di governo, messa in dubbio, per quelle che sono ritenute soltanto azioni di disturbo da parte del partito avverso. Vista in quest’ottica l’operato dei repubblicani assume una valenza che cerca di squalificare il potere legislativo, anche se è parzialmente attenuata da ragioni di interesse nazionale, peraltro condivise da parte dei democratici. Ma sorpassando la pura divisione partitica, resta il fatto, che quello messo in campo dal Congresso rappresenta un tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale
Americano, cercando di limitare i poteri dell’esecutivo da parte del potere legislativo.
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