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lunedì 22 giugno 2015

Il problema della diffusione dei medicinali nei paesi poveri

La stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che afferma che un terzo della popolazione mondiale non può accedere a vaccini e cure mediche essenziali, appare un ulteriore risultato dell’esasperato potere della finanza e della globalizzazione imperante. Si calcola anche che circa dieci milioni di vite umane potrebbero essere salvate con una maggiore disponibilità di risorse. L’ostacolo maggiore è costituito dall’esercizio dei diritti commerciali legati alla proprietà intellettuale dei farmaci. La questione dei brevetti, infatti, impedisce di praticare una produzione locale, all’interno dei paesi meno sviluppati, di molti farmaci, tra cui anche quelli essenziali a curare malattie diffuse nelle nazioni più povere e che provocano la morte di un gran numero di esseri umani. Per i paesi poveri il problema è duplice: si tratta di impiantare infrastrutture produttive, che spesso hanno costi proibitivi, senza avere la certezza di riuscire poi a produrre i farmaci necessari. L’esistenza dei brevetti sui farmaci pone delle questioni etiche, che vengono rifiutate dalle case produttrici; il problema è che i medicinali vengono trattati come gli altri beni, mentre la loro funzione sanitaria ricopre una importanza anche sociale, molto elevata, che potrebbe giustificare delle deroghe all’ottica, esclusivamente commerciale, con cui viene trattata la commercializzazione e la conseguente diffusione dei medicinali. In sostanza il profitto guida la vendita dei farmaci, senza che ne sia prevista alcuna forma di attenuazione del mero principio commerciale. Se, da un lato, è comprensibile che le aziende farmaceutiche, vogliano rientrare da investimenti di ricerca spesso rilevanti, dall’altro lato il costo sociale del gran numero di decessi, impone un calcolo anche soltanto puramente economico del costo del mancato sviluppo legato alla perdita di un gran numero di vite umane. Naturalmente questo raffronto, puramente cinico, deve essere superato dall’importanza delle ragioni umanitarie, anche se non è da non considerare l’impatto di tale problema anche su fenomeni apparentemente non collegati come le migrazioni di massa, che non avvengono solo per le calamità naturali, le carestie e la povertà, ma anche per potere accedere a cure mediche decenti. Ancora una volta la situazione di grave crisi economica, iniziata dal 2008, ha fatto sentire i propri effetti nei paesi meno sviluppati, dove si è registrato un aumento delle malattie più rapido che quello registrato nei paesi con maggiore reddito. Non è un caso che nei 49 paesi che sono definiti come meno sviluppati del mondo dalle Nazioni Unite si sia patito di più che altrove il problema collegato con la mancanza di medicinali; tuttavia in Europa abbiamo il caso greco, dove la crisi ha prodotto situazioni sanitarie di emergenza, con il ritorno di patologie assenti da decenni, ed anche qui collegate all’impossibilità all’accesso di determinati farmaci, spesso i più costosi, per fasce sempre più ampie della popolazione. La questione quindi travalica i territori dei paesi meno sviluppati, si pensi anche alla problematica dell’assistenza sanitaria negli USA, e si impone come emergenza sempre più globale. Una moratoria sarebbe quindi necessaria sotto la guida delle Nazioni Unite, che dovrebbero studiare la creazione di fondi a remunerazione degli investimenti in ricerca delle case farmaceutiche, rendendo patrimonio della collettività i brevetti attraverso i quali produrre i medicinali necessari ad abbassare il tasso di mortalità mondiale, per patologie curabili.

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