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lunedì 29 giugno 2015
Il significato del referendum greco
La soluzione di sottoporre al popolo greco un referendum per accettare o rifiutare le condizioni per il rientro del debito, appare una soluzione rischiosa ed in grado di delegittimare il governo uscito dall’ultimo risultato elettorale. In ogni caso la possibilità che si potrà maggiormente verificare è quella di un governo che ha rinunciato all’esercizio della propria responsabilità e che, per ciò, non potrà che essere indebolito, sia sul piano interno, che su quello internazionale. La proclamazione di nuove elezioni potrebbe essere una ipotesi concreta e diventerebbe un fattore capace di rallentare qualsiasi indirizzo il popolo greco vorrà indicare, in una fase dove il tempo è una delle variabili più importanti. Poteva il capo del governo greco scegliere una strada differente? Tsipras appare un leader tutto sommato moderato, che vuole garantire condizioni di vita migliori al popolo greco e non vuole uscire dall’euro e dall’Europa, ma è troppo condizionato dall’ala sinistra del suo partito, che ha un peso specifico tale da fare cadere il governo. Nuove elezioni potrebbero determinare scenari inquietanti, con l’aumento del consenso per l’estrema destra, l’unica forza a cui la Grecia non ha ancora provato a conferire il potere per risolvere la crisi. Il problema è se le parti estreme del parlamento di Atene, accetteranno un eventuale pronunciamento favorevole da parte del popolo greco. In questo pericolo risiede la debolezza dell’esecutivo di Atene, che con il referendum prova a farsi scudo della volontà popolare. La strategia è chiara: il pronunciamento dell’intero corpo elettorale ellenico deve costituire la strada da seguire. Ma ciò potrebbe non impedire a forze fortemente motivate di mettere in pratica azioni tese a contrastare l’esito referendario. In questo caso la debolezza di un governo, che non si è assunto la responsabilità di prendere autonomamente una decisone così importante, potrebbe diventare un fattore di alterazione di un equilibrio interno già molto precario. Anche i tempi della scelta del referendum appaiono ormai troppo in ritardo, le scadenze a cui la Grecia dovrebbe fare fronte, sono obiettivamente troppo vicine, meglio allora sarebbe stato percorrere questa strada molto prima. In ogni caso quello che emerge, come dato politico al di fuori del caso specifico, è la necessità di coinvolgere tutto l’elettorato attivo in una decisione così cruciale; si tratta della sconfitta della democrazia e delle istituzioni sempre più lontane dal popolo, avvertite come corpi estranei che impongono volontà sempre più spesso in contrasto con le necessità dei cittadini. Se si guarda la vicenda da questo aspetto il giudizio non può che cambiare: proprio nella culla della democrazia si vuole affermare una tendenza nuova, capace di coinvolgere il cittadino in una decisione che avrà, in un senso o nell’altro, ripercussioni dirette sulla sua vita. Indubbiamente è un elemento di novità che viene temuto a Bruxelles per il suo potere che può diventare emulativo in altri paesi, fino a mettere in dubbio i meccanismi di scelta, non tanto delle classi politiche, quanto piuttosto delle loro decisioni. Risulta difficile fare una previsione se questo referendum potrà aprire ad altre decisioni analoghe in paesi diversi, ma sembra impossibile non cogliere la volontà di partecipazione dal basso, più volte richiesta senza essere esaudita. Certamente il rischio di decisioni poco ponderate ed improntate al populismo c’è tutto, ma questo è anche dovuto alla percezione di un governo dell’Europa che ha spesso imposto le proprie decisioni, anche quando queste, oltre ad apparire non congrue, non sono state spiegate adeguatamente. La crisi greca, quindi, dal punto di vista politico ha il merito di avere sollevato la questione del governo del vecchio continente, che non può continuare ad essere amministrato in maniera troppo distante dai cittadini, che hanno troppo subito scelte penalizzanti, con ripercussioni sulla qualità della propria vita, per favorire istituzioni finanziarie compromesse con la speculazione. Una vittoria del no potrebbe aprire la dissoluzione dell’Europa, dimostrando che Bruxelles non poggia su basi così solide come si vuole fare credere; una prima conseguenza potrebbe essere un conflitto tra i paesi del sud con quelli del nord e con quelli dell’est che si allontanerebbero da una integrazione che è ancora molto distante. Se la crisi greca non sarà risolta mantenendo Atene dentro le istituzioni europee gli scenari attuali potrebbero completamente cambiare, con il solo risultato di indebolire gli stati del vecchio continente.
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