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venerdì 5 giugno 2015

La Grecia non cede sulle questioni sociali

Vi è una distanza soprattutto politica, che risponde al programma elettorale, con il quale la sinistra greca ha vinto, tra la proposta dei creditori della Grecia ed il governo di Atene. Le richieste delle istituzioni che detengono il credito verso il paese ellenico sono state giudicate troppo esose per una popolazione che negli ultimi cinque anni ha pagato colpe non proprie con la sofferenza della povertà e della miseria a cui è stata costretta. Le riforme che si voleva fare accettare alla Grecia, sono state giudicate dal governo di Atene le cause di un sicuro aumento della disoccupazione e della povertà, togliendo ogni speranza al popolo greco. Non si può dire che all’esecutivo della Grecia manchi la coerenza: il programma elettorale che ne ha determinato la vittoria non è stato tradito neppure questa volta; ma non si tratta di un programma eccessivamente spinto posizioni di sinistra, si tratta, piuttosto, di un programma di buon senso, che vuole evitare che il paese sprofondi in una miseria irreversibile, una condizione che l’Europa dovrebbe comprendere a fondo, se non altro per evitare profonde derive antisistema, pronte a prendere il sopravvento in tutto il continente. Secondo il capo del governo greco, le proposte delle istituzioni creditrici non tengono conto dei progressi fatti dai negoziati fino a questo punto e mirano soltanto ad mero recupero dei debiti. Nel merito delle misure pensate dai creditori, l’applicazione dell’imposta del valore aggiunto era di due aliquote pari all’11% ed al 23%; mentre Atene ne prevede una terza di minore impatto del valore del 6%. La differenza dei ricavi per coprire il debito tra la proposta dei creditori e quella di Atene si aggira intorno ad un miliardo, che mancherebbe quindi all’appello della restituzione. I creditori, inoltre proponevano tagli alle pensioni, in particolare a quelle a basso reddito, le più numerose nel paese, francamente inaccettabili per un governo che è stato eletto proprio per tutelare i redditi più bassi.  La non ricevibilità delle proposte dei creditori era evidente, non era possibile che il governo greco potesse accettare misure così opposte al proprio indirizzo. La domanda è questa: le istituzioni che detengono il credito non potevano non prevedere il rifiuto della Grecia, allora vi è l’intenzione di sollevare una crisi che ha come fine l’uscita dall’euro di Atene? Se ciò fosse vero resta incomprensibile come si voglia portare avanti l’istituzione europea, dato che l’uscita dalla moneta unica potrebbe spingere Atene a ricercare altri alleati, come Mosca.  Per ora la Grecia ha concordato il pagamento in una unica soluzione delle quattro rate previste per il mese di giugno, per un totale di un miliardo e seicento milioni, alla data del 30 giugno. Per ora, quindi, le ragioni politiche, quelle della Grecia, hanno mantenuto il negoziato in un alveo che mantiene in secondo piano le questioni finanziarie, del resto la stessa Germania, che è intenzionata a fare rispettare le scadenze dei pagamenti per non indebolire la moneta unica, sembra avere ora una maggiore attenzione al fatto che Atene rimanga nell’euro, per evitare contraccolpi di altro tipo. Se è difficile prevedere gli sviluppi mondiali, è più agevole cercare di affrontare le difficoltà con l’Unione Europea possibilmente più unita che mai, ossia quell’unità che è consentita dagli eventi e dalla situazione in corso, ma che è sempre meglio che presentarsi divisi sulla scena mondiale.  

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