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martedì 25 agosto 2015

Berlino e Parigi chiedono ad Atene e Roma di aprire centri di registrazione per i rifugiati

L'incontro tra il cancelliere tedesco Angela Merkel ed il presidente della repubblica francese Hollande, per il problema dell’immigrazione in Europa, appare come un vertice che scavalca le istituzioni dell’Unione Europea e non quella che viene presentata come una collaborazione tra i due paesi. L’impressione è che Bruxelles sia ridotta ad un ruolo di facciata, mentre Parigi e Berlino tendano ad appropriarsi della scena, forse per una battaglia futura su chi dominerà il vecchio continente. Per ora quello che vuole essere fatto trasparire è uno spirito di collaborazione, che, comunque, tende ad escludere gli altri paesi in generale e quelli direttamente interessati in particolare. Non è la prima volta che succede: già in occasione della discussione sulla definizione del debito greco i due massimi rappresentanti dei rispettivi paesi, tennero incontri bilaterali, escludendo, ad esempio, l’Italia, che era comunque il terzo paese creditore di Atene. Anche questa volta Roma, insieme ad Atene, sono rimaste escluse da un vertice che riguarda un problema che tocca ad essere gestito proprio da Italia e Grecia. Non solo si è fatto lo sgarbo di escluderle dalla discussione ma si è anche andati oltre, esortando soluzioni, che hanno le sembianze di obblighi. In sostanza Parigi e Berlino hanno chiesto ai due paesi principalmente impegnati a fornire l’accoglienza ai migranti di creare dei centri di registrazioni per i rifugiati, che dovrebbero avere il solo scopo di dividere i rifugiati dai migranti per ragioni economiche, gravando così i paesi di arrivo anche dell’onere della decisione su quali persone rimandare indietro. Ancora una volta, non solo l’Unione Europea, ma questa volta singoli membri, seppure i più importanti, scaricano su altri paesi un ruolo che non è detto che sia di loro competenza. Probabilmente Francia e Germania si rifanno allo spirito del trattato di Dublino, non riconoscendo però, che il territorio di arrivo non è solo quello identificato entro i confini fisici di un paese, ma è anche quello che corrisponde ai criteri dell’extra territorialità e che non viene applicato alle navi che raccolgono i profughi nelle acque del Mediterraneo, affidandoli poi, per esempio, all’Italia e facendo diventare questo paese la nazione di arrivo. Questo è solo un esempio di come l’interpretazione del trattato sia adattata alle convenienze degli stati del nord Europa, che ora si arrogano il diritto di emettere prescrizioni che violano la sovranità legittima di uno stato. La questione dell’emigrazione scopre come l’impianto europeo sia debole e da rivedere in modo assoluto e come non vi sia più ritegno per gli stati maggiori ad oltrepassare la minima convenienza diplomatica. Anziché elaborare una strategia comune, che vada soprattutto oltre l’emergenza dell’accoglienza e riguardi misure di carattere politico e militare, capaci di cercare una soluzione più complessiva, quegli stati che dovrebbero garantire il processo di integrazione, pensano di interpretare il loro ruolo con una sorta di potere di indirizzo, certamente non ufficiale, ma ricevuto soltanto dalla rispettiva potenza economica. Entrando più nello specifico attuare una misura come quella suggerita da Parigi e Berlino coinvolge tutta una serie di difficoltà organizzative che possono essere difficilmente superate da un solo stato, mentre l’unica esperienza comunitaria a cui si può fare riferimento fino ad ora, quella dell’Agenzia per la gestione delle frontiere, non pare essere stata positiva e quindi non sembra assicurare una collaborazione adeguata. In sostanza per Grecia ed Italia non conviene impegnarsi in un compito tale, sopperendo alle carenze di Bruxelles e svolgendo il ruolo per altri stati, giacché i due paesi mediterranei sono considerati soltanto delle tappe intermedie per la parte più consistente dei migranti. Al contrario se ci fossero delle condizioni di affidabilità e di programmazione espresse da organi istituzionali comunitari, la questione potrebbe essere affrontata in tutt’altro modo, ma non certo su direttiva di altri stati, non investiti da un potere ufficiale per diramare direttive che offendono il potere legittimo di governi stranieri.

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