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venerdì 2 ottobre 2015

Siria: terreno di scontro tra Russia e Stati Uniti

L’evoluzione della guerra civile siriana da conflitto regionale, per la partecipazione dell’organizzazione Stato islamico, sta volgendo lo scenario in un coinvolgimento diretto di più nazioni, che prima era limitato, ma, che con l’ingresso della Russia, rischia di connotare in modo più ampio la rilevanza internazionale del teatro dei combattimenti. Precedentemente agli sviluppi attuali il quadro internazionale sul conflitto siriano era dominato dagli Stati Uniti, che hanno tentato di esercitare il proprio ruolo sempre più sfumato di gendarme mondiale; l’azione di Washington si distinta per una profonda incertezza e diversi errori, condivisi anche con le Nazioni Unite, che hanno, di fatto favorito, una permanenza, seppure ridotta, di Assad al potere e della crescita delle formazioni integraliste. Non che gli USA debbano risolvere tutti i problemi mondiali, ma l’atteggiamento tenuto ne giustifica un ridimensionamento sul piano internazionale, anche perchè i principali alleati della regione, Arabia Saudita e Turchia, hanno proceduto in modo autonomo, non soltanto non coordinato con la Casa Bianca, ma addirittura in contrapposizione, finanziando le milizie integraliste, poi sfuggite la loro controllo, da cui è nato il califfato. La tattica del pentagono è stata quella di operare mediante esclusivi raid aerei soltanto contro lo Stato islamico e lasciando che le forze di Assad bombardassero le zone occupate dall’opposizione democratica, a cui è stato offerto soltanto addestramento ed un ridotto rifornimento di armamenti. Senza l’entrata in campo della Russia, questa strategia andava bene per temporeggiare in attesa dell’entrata di qualche elemento favorevole ai propri scopi, ma questo attendismo si è rivelato controproducente, oltre che miope, ed ha favorito il regime di Damasco, che è riuscito a mantenere il dominio sulla parte più pregiata della Siria, quella con i maggiori insediamenti industriali e con lo sbocco al mare. Occorre riconoscere ad Assad che è stato bravo e paziente nella condotta del conflitto, guadagnandosi via via il ruolo di elemento di argine contro lo Stato islamico e assicurandosi ora, praticamente in maniera certa, con la presenza di russi ed iraniani, la permanenza al potere. Mosca ha senza dubbio portato uno sconvolgimento nella guerra siriana ed un elemento di novità, con cui gli USA dovranno fare i conti, ma, anche, la ripetizione in scala più grande, di quanto accaduto con l’intervento turco. Ankara è entrata in guerra più per bombardare i curdi, di cui teme la nascita di un proprio stato sovrano sui suoi confini, che lo Stato islamico, lo stesso sembra fare Mosca, avendo come obiettivo, più che le postazioni del califfato, quelle dei gruppi dell’opposizione democratica ad Assad e formalmente alleati degli Stati Uniti. Ciò significa che a Damasco temono maggiormente l’opposizione interna, fatta di movimenti laici in grado di esprimere una proposta politica forte ed alternativa ad Assad, che l’estremismo sunnita, ritenuto inaffidabile proprio in proiezione futura sulpiano politico. Del resto l’opposizione democratica ha ancora recentemente affermato di non avere alcuna intenzione di trattare con il governo di Damasco, mentre in precedenza aveva sempre fatto intendere di non gradire l’ingerenza russa, da sempre alleata di Assad. Il problema per gli americani è che la Russia ha preso l’iniziativa proprio contro i gruppi su cui Washington puntava per la transizione del potere a Damasco ed un attacco contro questi movimenti potrebbe equivalere ad una implicita dichiarazione di guerra da parte dei russi. Questa eventualità non pare essere molto considerata da analisti e dalla stampa, tuttavia quello che Mosca sta compiendo ha profonde analogie con quanto messo in pratica in Crimea e nell’Ucraina orientale, soltanto che si svolge su di un terreno ben più importante per l’equilibrio mondiale. Il Cremlino sta cercando con mezzi militari di guadagnare posizioni internazionali e rompere l’isolamento, questa strategia poteva essere prevista dagli americani, ma così non è stato e si rischia di arrivare a pericolose conseguenze. Anche le ipotesi di uno scambio diplomatico tra Washington e Mosca su Ucraina e Siria, se possono avere qualche fondamento, appaiono troppo forzate per gli equilibri in gioco, che coinvolgono altri attori, come i paesi dell’est europa e la stessa Unione Europea. Quali alternative hanno ora gli USA? Colpire le forze di Assad direttamente appare impossibile per la presenza russa, questa strategia andava perseguita prima con azioni indirette tese a tagliare i rifornimenti per le forze di Damasco, difendere i gruppi dell’opposizione democratica appare la scelta più logica, ma vuole dire aprire un confronto anche armato con la Russia, anche se questa scelta potrebbe essere comprensibile per rimettere in equilibrio le cose, tuttavia l’atteggiamento americano tenuto verso la Turchia, quando ha bombardato i curdi, è stato di indifferenza e questo potrebbe proseguire anche con le azioni russe. Quello che emerge è che lo scenario sta cambiando rapidamente: al fianco della priorità della lotta allo Stato islamico, la Casa Bianca ora si trova a fronteggiare la prepotente ricomparsa sulla scena di Assad, che non è più un obiettivo di secondo piano, e l’ingombrante presenza dei russi. Per uscire bene dalla situazione gli Stati Uniti devono, prima di tutto evitare che i suoi alleati, i gruppi democratici siriani ed i curdi siano ancora colpiti, assumendone la difesa in prima persona, poi definire la pratica Stato islamico nel minor tempo possibile, coinvolgendo anche i russi nella guerra ed infine trovare una intesa diplomatica per il futuro della Siria, che ha questo punto non potrà prescindere dalla presenza di Assad. Washington può studiare una soluzione che divida il paese accettando che le zone attualmente sotto la sovranità di Damasco restino tali e che quelle occupate dai gruppi democratici, insieme a quelle conquistate allo Stato islamico costituiscano la formazione di un nuovo stato, dove gli Stati Uniti dovranno però essere presenti con forze militari stanziali e con un adeguato sostegno di investimenti economici. Soltanto così gli USA potranno non subire un ridimensionamento internazionale a favore della Russia.

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