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lunedì 16 novembre 2015

L'Occidente sotto attacco del terrorismo islamico

Ancora una volta la Francia è stata colpita da attentati terroristici di matrice islamica. Pur maturati nella situazione contingente della guerra contro lo Stato islamico, il paese francese è colpito anche per ragioni precedenti, che non sono state ancora risolte. Se richiamarsi alla condotta coloniale, che in passato il paese ha tenuto, può apparire un esercizio di analisi storica troppo a ritroso nel tempo, risulta altrettanto vero che la mancata integrazione di tanti francesi arabi di seconda e terza generazione ha favorito un terreno di coltura ideale per quelle organizzazioni oltranziste, che sono andate a riempire un vuoto di identità, dovuto ad una sempre più progressiva emarginazione di settori sempre più grandi di questa parte della società francese. L’identificazione con l’islam radicale è causata dal rifuto di una società i cui valori non sono stati troppo assimilati e si sono rivelati addirittura contrari quando dovevano garantire una identificazione con un paese incapace di fornire un benessere in grado di consentire uno scatto sociale per uscire dai luoghi di emarginazione. Certo il problema non è solo francese, in queste ore dove le indagini si fanno più serrate il Belgio ha evidenziato problemi analoghi in interi quartieri della capitale europea ed il traffico verso l’arruolamento nell’esercito del califfato è un problema rilevante in Inghilterra. Quello che è mancato è stato un lavoro di lungo periodo che doveva evitare la mancata integrazione di quelli che erano cittadini del proprio stato, lasciati in balia della malavita, prima e delle ideologie permeate di estremismo religioso dopo. Nella specifica questione francese entra anche una prevenzione inadeguata, dal punto di vista della sicurezza, che si è ripetuta dopo gli attentati precedenti, rivelando un apparato gestito quasi in maniera dilettantistica, valga per esempio generale il tempo di intervento delle forze speciali nel teatro avvenuto due ore dopo l’inizio dell’attentato. Aldilà di queste considerazioni occorre anche prendere in esame la politica estera francese, che ha usato l’intervento militare fuori dai propri confini, senza l’avallo delle Nazioni Unite, in un regime giuridico dubbio; la Francia ha spesso operato per tutelare i propri interessi, praticando azioni armate gradite agli Stati Uniti, ma che sono state fuori da una coordinazione internazionale necessaria anche in termini preventivi, per salvaguardare il proprio paese da atti terroristici. Parigi ha come giustificazione una certà passività degli alleati europei, sopratutto dopo quanto successo in Libia, dove un intervento esclusivamente militare, non supportato dalla necessaria azione politica, ha prodotto una situazione peggiore, sicuramente dal punto di vista internazionale, di quella in essere durante il regime abbattuto. La grande debolezza dei paesi europei continua ad essere la mancanza di una strategia comune che li espone in una modalità di divisione di fronte al fenomeno terroristico islamico, ma che paga anche una assunzione di responsabilità nei confronti del fenomeno, perchè se ne è preferita delegare la gestione agli Stati Uniti. La sfortuna degli stati europei che Obama, su questa materia, si è rivelato un presidente inadatto a cui si possono imputare diversi sbagli nell’approccio della gestione dell’Iraq e della guerra siriana, ma, che, forse, è stato caricato di compiti troppo elevati anche per la maggiore superpotenza mondiale: gli Stati Uniti. L’Europa è rimasta sempre troppo lontano dalle questioni medio orientali e, se si può capire l’impossibilità di un impegno militare consistente, non è altrettanto comprensibile, ne giustificabile un impegno maggiore dal punto di vista diplomatico, sempre limitato ad avvallare le strategie americane, senza essere in grado di progettare un proprio piano d’azione. Queste ragioni sembrano lontanissime dagli attentati di Parigi, al contrario ne costituiscono i presupposti, tanto quanto l’impiego delle armi da parte dei terroristi. Ora la necessità del momento, quello a cui il momento attuale obbliga, sarà di risolvere la prevenzione con atti, giustamente, adatti ad una visione di cortissimo periodo. Non si può discostarsi da queste azioni, la necessità della vigilanza, dell’attività di intelligence e delle normative che saranno promulgate, che purtroppo potranno anche ridurre le libertà individuali, serviranno ad evitare ulteriori minacce, che non sarà così facile prevenire. Per lo Stato islamico esportare il terrore in occidente è una vittoria molto più visibile che il mantenimento di un avamposto in territorio irakeno o siriano, perchè permette una capacità di diffusione del messaggio islamista radicale senza pari, anche in vista della continua esigenza del reclutamento di nuova manodopera del terrore. Ma se queste azioni tese ad interventi definibili come urgenti è necessaria, altrettanto indispensabile è la programmmazione e la messa in atto di una strategia di lungo e lunghissimo periodo che sappia affrontare in modo globale la risoluzione di quei punti che stanno favorendo l'esportazione del terrorismo a domicilio in Europa. Certamente la questione siriana richiede una rapida soluzione: il fatto che l’occidente e la Russia siano state colpite da atti terroristici, deve favorire un dialogo nel quale tutte le parti devono cedere qualcosa, affinché non si ripetano le situazioni di pericolo di questi giorni. Ormai gli attentati stanno diventando troppo frequenti e ciò significa che la capacità del califfato di esportare la guerra deve essere considerata un dato di fatto, contro il quale la sola soluzione del caso siriano, pur importante, non è ancora sufficiente. Occorre ricordare la situazione libica e della fascia sub sahariana, della Nigeria, della questione curda e, quindi del difficile rapporto con la Turchia (che ha all’inizio finanziato insieme all’Arabia Saudita i movimenti da cui sarebbe nato il califfato) ed anche quella palestinese: un insieme di situazioni sfuggite al controllo per le quali è oramai necessario un impegno globale in prima persona da parte di tutti gli stati, senza più delegare a Washington un ruolo che da solo non è più in grado di reggere.

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