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venerdì 22 gennaio 2016
Alcuni stati tedeschi requisiscono i soldi dei profughi
Dopo la Svizzera e la Danimarca anche in due regioni della Germania, la Baviera ed il Baden-Württemberg, si è deciso di trattenere somme in contanti o oggetti di valore, per sostenere i costi dell’accoglienza. La misura riguarda una cifra variabile, a seconda degli stati, del patrimonio, con il quale i profughi riescono ad arrivare in questi paesi. A seguito dell’instaurazione della procedura in Danimarca e Svizzera, si erano alzate polemiche in Germania, per una pratica giudicata contraria alle normative di asilo ed alla stessa opportunità morale di tale scelta, ma ora, con l’adozione di misure analoghe, gli stati tedeschi che le applicheranno difendono lal oro scelta in conformità alla sovranità conferita dal diritto federale. Si tratta, senza dubbio alcuno, di un atteggiamento ipocrita, probabilmente dettato dalle forti polemiche interne, anche con il governo di Berlino, che criticano l’accoglienza indiscriminata dei profughi, segno inequivocabile, che la politica della cancelliera Merkel non è condivisa e rappresenta, all’interno del suo stesso partito, un motivo pesante di profondo attrito. Le modalità con le quali avvengono i prelievi dal patrimonio dei migranti, ricordano episodi molto tristi della storia: i richiedenti asilo, infatti, vengono controllati all’ingresso dei centri di accoglienza e se il loro patrimonio, non solo in contanti ma anche in oggetti preziosi, supera una certa cifra in euro, 350 nel Baden-Württemberg, 750 in Baviera, scatta la requisizione, che secondo fonti giornalistiche, nello scorso mese di dicembre, nello stato del Baden-Württemberg sarebbe ammontata a circa un migliaio di euro, in media, per ogni profugo. La prima considerazione che non può risaltare è come questi stati europei di ingresso applichino una sorta di tariffa a persone già molto provate da un viaggio lungo e sfiancante, causato da situazioni di guerra e carestie, dopo avere già versato quasi tutti i loro averi ai professionisti dei traffici umani, che sono stati tanto condannati proprio dalle nazioni occidentali; un paragone tra queste forme di esazione appare inevitabile, come non riesce difficile porre quasi sullo stesso piano trafficanti di esseri umani e realtà statali che requisiscono gli averi dei profughi. La pratica è umiliante sia per chi la mette in atto, sia per chi la subisce; ma, mentre i secondi devono sottostare, in modo obbligato, all’ennesima angheria, la scelta per entità sovrane di applicare tali metodi, ne mette in dubbio la legittimità, un discorso che andrebbe affrontato nella sede più ampia del parlamento europeo, che dovrebbe prevedere le dovute sanzioni. Si comprende come questa requisizione sia di natura esclusivamente demagogica a beneficio di una certa parte politica, che i governi, evidentemente, non si vogliono alienare, mentre sulla reale efficacia del contenimento dei costi, queste requisizioni non hanno certo un impatto importante. Gli effetti pratici, cioè, oltre a non esistere, non compensano la durezza di una norma che si poteva risparmiare, evitando, sopratutto, una figura pessima, non degna dei principi fondamentali dell’Europa. Ma il fatto che queste misure siano state prese in alcuni stati tedeschi più ricchi appare perfettamente in linea con la durezza con la quale la Germania intende trattare questioni che imporrebbero una maggiore tolleranza, come accaduto precedentemente con la Grecia, un paese già in ginocchio a cui sono state inflitte condizioni economiche ancora più dure solo per non intralciare la linea del rigore economico di Berlino, linea, che per altro, sia pure in maniera più attenuata è stata imposta a tutta l’Unione Europea, soffocandone la ripresa a beneficio dell’industria tedesca. Ancora una volta Bruxelles si segnala per la sua assenza dall’esprimere una propria condotta, che sappia distinguersi dalle assurde decisioni di alcuni suoi membri, denunciando uno stato di subalternità e di incapacità di trovare una sintesi in grado di gestire i problemi, anche quelli più rilevanti. L’unica strategia pensata dall’Unione Europea resta quella di finanziare, neanche di mettere in campo proprie strutture all’estero, i paesi che maggiormente si fanno carico dei profughi siriani, come Turchia, Libano e Giordania, versando nelle loro casse sostanziosi contributi capaci di tacitare la coscienza di Bruxelles, questo nonostante sia stato dimostrato che questa pratica non abbia fermato il continuo afflusso dei profughi. Ora la speranza è che la pratica della requisizione dei patrimoni ai migranti non si diffonda, sopratutto nel silenzio delle istituzioni europee, un fattore che dovrebbe fare riflettere i paesi del sud europa sulle reali affinità con altri popoli con cui condividono il vecchio continente.
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