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venerdì 29 gennaio 2016

Le difficoltà delle trattative per la pace in Siria

Ancora una volta le trattative per iniziare il processo di pace in Siria stentato ad avere un avvio a causa delle troppe varibili presenti, che generano veti incrociati el’impossibilità della partecipazione di tutte le forze in campo. La guerra siriana ha provocato, fino ad ora, circa 260.000 vittime, senza contare i feriti, le sofferenze per la mancanza di cibo e di medicinali e la fuga forzata dalla violenza, che ha provocato l’esodo di massa fuori dai confini nazionali. Le forze democratiche, pur parlando di una propria diponibilità a partecipare alle trattative, sono poco convinti della buona fede del governo di Damasco, a causa dei continui bombardamenti effettuati sui civili. In effetti, ancora prima della partecipazione della Russia al conflitto, l’azione delle forze di Assad è stata maggiormente diretta contro l’opposizione al suo governo, anziché contro il califfato. La ragione, di questo comportamento, ha una duplice spiegazione: la prima è che i gruppi dell’opposizione democratica vengono ritenuti da Damasco gli avversari, meno pericolosi militarmente ma politicamente più destabilizzanti, la seconda è che questi gruppi sono sostenuti, principalmente dagli Stati Uniti, ma anche dall’Arabia Saudita, che notoriamente vuole estendere la sua influenza sul paese siriano. Conciliare la presenza contemporanea dell’opposizione siriana e del regime di Damasco allo stesso tavolo in questo momento è impresa molto ardua, ed, infatti, probabilmente, alla prossima riunione di Ginevra i gruppi democratici non parteciperanno. Questa presa di posizione, che non permette uno sblocco politico e diplomatico della situazione, è senz’altro inconciliabile con una soluzione che contempli la fine dell’uso delle armi, ma, deve essere specificato, che la responsabilità maggiore, risiede nel comportamento violento, sostenuto dai russi, del governo di damasco, che si è distinto per un uso eccessivo della forza contro la popolazione civile. La posizione di Assad andrebbe piuttosto vagliata da un tribunale internazionale, anziché essere una presenza in una ipotetica trattativa per la pace, che rappresenterebbe soltanto una via di uscita per la conservazione del proprio potere. Tuttavia l’ingresso in guerra della Russia ha ribaltato le sorti di Damasco, che ha ora notevoli possibilità di conservare almeno la sovranità su di una parte del paese, quella strategicamente più rilevante. Una ulteriore variabile molto rilevante è l’Iran: con la fine delle sanzioni, Teheran, può riacquistare, oltre che una importanza economica, anche una centralità diplomatica, sopratutto nell’area mediorientale, malgrado ciò non sia gradito dalle monarchie del golfo; tuttavia gli esponenti iraniani intendono riappropiarsi a pieno titolo del loro ruolo diplomatico ed uscire dall’isolamento in cui erano confinati. Il rapporto di Teheran con gli attuali scenari del Medio Oriente non è univoco: mentre sulla Siria sono in linea con la Russia, per la difesa di Assad, sullo Stato islamico sono in sintonia con gli Stati Uniti, ma non con i paesi sunniti, come l’Arabia Saudita e la Turchia, nazioni che, analogamente all’Iran, stanno giocando un ruolo rilevante su queste questioni. Gli interessi contrapposti, sommati alla rivalità religiosa   non facilitano una predisposizione alla partecipazione comune a trattative su di un problema molto sentito come quello siriano. Ciò che accomuna tute le componenti dello scenario è un atteggiamento di attesa, teso a sfruttare la più piccola occasione per creare un vantaggio sulle controparti; l’unica eccezione è il comportamento della Russia, che ha adottato da subito una notevole propensione all’intervento, tutto il contrario degli Stati Uniti, che fin dall’inizio della crisi, hanno mantenuto un atteggiamento molto defilato, per non essere ancora una volta impegnati in prima persona in un conflitto del medio oriente. Tuttavia in questa posizione di immobilismo si deve ricercare il motivo del prolungamento del conflitto. Esiste poi la variabile curda da cui non si può prescindere, per la presenza attiva nella lotta contro lo Stat islamico in Siria ed anche per la consistenza della popolazione di questa etnia nel paese siriano. Mosca riconosce che senza la presenza curda nessun negoziato potrà avere un successo, ma ciò è contestato profondamente dai turchi, che temono la fondazione di uno stato curdo ai loro confini. Su questo argomento, gli USA, che sono formalmente alleati con la Turchia, propendono più per l’opinione della Russia. Come si vede la missione dell’inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura e dello stesso Segretario Ban Ki-Moon appare molto complicata: organizzare una conferenza di pace con tutte queste variabili, rappresenta una vera e propria impresa, anche se l’intesa tra Mosca e Washington, per un incontro internazionale, previsto per l’undici febbraio, sulla questione siriana potrebbe aprire qualche prospettiva più concreta. Ma ancora una volta appare fondamentale il fattore tempo, forse la variabile più decisiva per la tutela del popolo siriano.

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