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lunedì 22 febbraio 2016
L'accordo tra Unione Europea e Regno unito ed il comportamento dei paesi dell'est, mettono in pericolo l'integrità europea
L’accordo raggiunto tra Regno Unito ed Unione Europea, che, peraltro, potrà essere annullato dall’esito del referendum, dimostra come Bruxelles si stia sempre più allontanando dai principi fondativi dell’unione ed apre la strada ad altre possibili decisioni che potranno decretare la fine del sogno europeo. Avere ceduto a Londra, solo per la convinzione che senza il Regno Unito l’Europa diventerebbe più debole è un evidente errore tattico, che, ha prescindere dal risultato del referendum, ha creato un precedente che potrà essere sfruttato da altri paesi euroscettici. La linea da non oltrepassare doveva restare quella di non creare condizioni di disparità tra gli stati, ma, al contrario, si è preferito, in base a criteri che non sono sembrati politici, ma più dettati dagli interessi finanziari, derogare dalle norme di adesione all’unione, per consentire a Cameron di proporre agli elettori inglesi un accordo, che ha già sollevato molte opinioni contrarie. Così in ogni modo andrà a finire, il governo europeo ha dimostrato la propria evidente debolezza, fattore determinante che impedito di opporsi al ricatto di Londra e che sarà ulteriormente aggravato se gli elettori del Regno Unito dovessero scegliere in maniera ufficiale l’uscita dall’unione. Del resto questa debolezza, che appare ormai patologica, è quella che impedisce alle istituzioni centrali dell’unione di non sapere gestire i flussi migratori e, sopratutto, le posizioni contrastanti tra i vari stati membri. C’è, infatti, un nesso logico, un legame evidente, tra le concessioni fatte, forse senza successo, al Regno Unito e la condiscendenza con cui si trattano gli stati dell’europa orientale, sempre più lontani dagli ideali europei, sempre meno liberali e sempre meno capaci di garantire diritti. I casi di Polonia ed Ungheria, che rifiutano la collaborazione, sul problema dei profughi, in maniera così sfacciata e sono governati da esecutivi che comprimono le libertà nei loro paesi, senza sanzione alcuna da parte di Bruxelles, sono il sintomo chiaro di una inadeguatezza delle strutture europee, sia a livello di legislazione, sia a livello di esecutivo. Ciò determina una conseguente disaffezione all’idea di Stati Uniti d’Europa, che era già ampiamente percepita a causa delle disposizioni di Bruxelles fortemente penalizzanti, per i cittadini comuni in materia di economia. Quello che è mancato è il naturale sviluppo politico di una unione prettamente economica, troppo basata sui bilanci e non sulla diffusione del benessere e quindi incapace di radicarsi nella base elettorale. La gestione europea è stata deficitaria sia per i problemi dei tanti, sia per i problemi di natura politica che riguardano i rapporti con gli stati membri. Una istituzione forte nella sua organizzazione e capace di fare rispettare i principi su cui è stata fondata, non avrebbe trattato con un paese come il Regno Unito, anche se membro fondatore, che non si è mai integrato ed ha solo avuto vantaggi a discapito degli altri paesi; così come non avrebbe permesso la svolta autoritaria che si è concretizzata a Varsavia ed a Budapest ed avrebbe saputo intervenire subito con sanzioni adeguate inserendo anche la possibilità dell’espulsione per i paesi che non avessero dovuto allinearsi ai principi che i loro stessi rappresentanti hanno sottoscritto. Al contrario si è concesso aiuti finanziari consistenti proprio a quei paesi che ora rifiutano l’aiuto, che dovrebbe essere automatico, a quelle nazioni che si fanno carico, ad esempio, delle ondate migratorie. L’errore di fondo è stato quello di non investire maggiormente in un opera politica di integrazione tra gli stati maggiori, che facesse da traino anche a quelli più restii. In questo scenario vi è una grande responsabilità di Berlino, che ha ragionato sempre condizionata da valori economici, sia per i vincoli di bilancio imposti, sia per la spinta all’ammissione dei paesi dell’est, individuati come serbatoio di mano d’opera, che come mercati da colonizzare; certamente alla potenza della Germania non vi è stato un equilibrio esercitato da Francia ed Italia, in parte dovuto all’incapacità dei loro governanti, in parte dovuto a ragioni economiche, che di fatto, ne piegavano le intenzioni ai voleri tedeschi. Ma la perdita di potere a livello complessivo di Bruxelles danneggia una Germania, che ha usato le istituzioni europee e la debolezza degli altri stati, per portare avanti il proprio piano di sviluppo ed ora con la possibile perdita di leadership, per lo meno indebolita con evidenza, rischia di dovere rivedere le proprie strategie. Il problema centrale è però il futuro stesso di un’Europa che non riesce a conciliare esigenze e spinte opposte che vanno nel senso contrario dell’integrazione: se questo è lo scopo finale del processo europeo si deve ripensare il percorso di adesione e verificare caso per caso se lo stato già aderente si identifica nei principi fondamentali, nel caso contrario è necessario prevederne una uscita; deve, cioè, essere rimesso tutto in discussione con una sostanziale ripartenza dall’inizio, maggiormente selettiva e, che di conseguenza deve sfociare in una inclusività convinta, senza ostacoli che possano pregiudicare il percorso verso una evoluzione pienamente federale dell’attuale istituzione, dove ogni membro abbia uguali doveri ed uguali diritti e non siano previste deroghe o casi particolari.
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