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lunedì 4 luglio 2016

Dopo l'uscita della Gran Bretagna, l'Unione Europea deve pensare ad impedire la sua dissoluzione

Dopo tante analisi sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, non si possono non fare delle considerazioni sul futuro di Bruxelles, sopratutto in ottica preventiva. Se, da un lato, risulta fin troppo chiaro che il pericolo maggiore per l’unione è quello di una lenta dissoluzione, occorre concentrarsi principalmente sulle cause maggiori che hanno portato a questa situazione e pensare dei correttivi adeguati per impedire l’unità dei paesi europei, ma solo di quelli che credono in modo convinto a questa possibilità, intesa come opportunità. Sulle cause dell’uscita britannica si sono dette tante cose: certamente il ruolo di Cameron, uno dei peggiori politici della storia inglese, è stato importante, dato che ha sacrificato il futuro di un paese e la situazione di diversi altri stati, al proprio calcolo di convenienza politica, oltre tutto facendo una previsione completamente errata. Tuttavia la decisione di cameron di effettuare il referendum è il punto di arrivo non quello di partenza. Il dato sociale più rilevante, che si deve applicare anche ai paesi rimasti dentro l’unione, è la sempre maggiore distanza tra i ceti dirigenti e la popolazione, specialmente quella con minori opportunità e con redditi a disposizione sempre più bassi. Nell’intenzione dei padri fondatori dell’Europa unita, c’era il chiaro obiettivo di migliorare lo stato generale dei cittadini del vecchio continente e non di peggiorarlo in favore di istituzioni bancarie e finanziarie o di un solo paese. Occorrre anche sottolineare che l’indirizzo politico espresso da Londra, sia con i Laburisti, che con i Conservatori, non ha mai intrapreso questa direzione, scegliendo, anzi, una via che favorisse l’aumento delle diseguaglianze. L’Inghilterra ha sempre tenuto un comportamento ambiguo con l’Europa, mantenendo un distacco che derivava dalla scarsa convinzione europeista  e che ha tenuto Bruxelles in ostaggio nel timore di perdere Londra; così si è favorito un rapporto privilegiato per il Regno Unito, caratterizzato dalla scarsa propensione a fare rispettare le regole a Londra e generando una disparità di trattamento rispetto agli altri membri dell’Unione. Ma neppure questi obiettivi vantaggi sono stati sufficienti a convincere il popolo inglese della necessità di restare in Europa e questo proprio perchè i governi britannici hanno non deciso di incanalare queste posizioni migliori verso la società  ma verso la finanza e sostanzialmente verso i ceti già ricchi. Non si tratta di una analisi semplicistica, ma della spiegazione dell’avversione a Bruxelles, che ha concesso troppa libertà agli esecutivi non imponendo una redistribuzione più equa dei risultati delle politiche concesse all’Inghilterra. Si capisce che ciò costituisce un esempio da non ripetere; la percezione, che corrisponde putroppo alla realtà, della distanza delle istituzioni europee è il primo nemico da combattere se si vuole mantenere  l’unità europea. In questo quadro il peso politico della Germania deve essere ridotto, anche in forza dei numeri del prodotto interno lordo espresso. Risulta vero che Berlino è la prima potenza economica europea, ma il suo prodotto interno lordo è il 27%, ben minore di quello di Francia, Italia e Spagna messe insieme, che arrivano al 50%. Certamente per la Germania è facile approfittare delle divisioni e delle incertezze di paesi, che scontano anche una situazione politica interna spesso instabile, ma continuare ad arroccarsi su di una posizione di intransigenza fiscale ed economica, tendente a comprimere gli investimenti, potrebbe essere letale anche per la sua economia. Così, se daun lato lo strumetno della economia espansiva, costituisce un argine essenziale alla dissoluzione europea, risulta essere altrettanto necessaria una politica di rigidità nei confronti di quei membri che non vogliono adeguarsi alle normative europee. Diversi stati dell’europa orientale, ma anche l’Austria, infatti, hanno un comportamento molto simile a quello inglese: tendono a sfruttare i benefici economici dell’Europa, rifiutandone sempre più spesso gli obblighi. Il caso dell’accoglienza dei migranti ha avuto soltanto il merito di scoprire i reali comportamenti dei governi orientali, che già si erano distinti per l’approvazione di norme anti libertarie e di limitazione dei diritti civili e politici. Se è necessaria una Europa che voglia intraprendere un cammino di unità è altresì necessario che questo intento sia condiviso, se no è meglio ridurre i membri e razionalizzare le risorse. Nello stesso tempo è necessario tenere un atteggiamento di fermezza assoluta con l’Inghilterra, che non deve condurre le trattative per l‘uscita: per Londra non devono essere costruite assolutamente condizioni di favore, chi esce dall’Unione deve sapere che non potrà godere di status particolari, questo per non creare assurdi precedenti, in grado di portare elementi di turbativa nuovi, nel già difficile assetto di Bruxelles.

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