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giovedì 7 luglio 2016

Il conflitto contro l'Iraq di Bush e Blair ha causato lo sviluppo del terrorismo islamico

Quello che la commissione inglese ha certificato, con ingiustificato ritardo, sono quelle che sono sempre state le evidenti responsabilità politiche della attuale situazione che si è venuta a creare nel medioriente e che ha tante ripercussioni sugli equilibri internazionali. La prima considerazione da fare è che l’intenzione di esportare la democrazia, senza una adeguata pianificazione unita all’incapacità di di capire la reale complessità degli interessi in gioco, la rilevanza della religione e le strutture sociali presenti sul territorio, sia stata soltanto una scusa dietro cui nascondere interessi economici e geopolitici delle parti che allora comandavano gli Usa e la stessa Gran Bretagna. Alla base dell’attacco portato contro l’Irak di Saddam Hussein c’erano le ragioni della presenza delle armi di distruzione di massa, cosa, poi smentita dai fatti. Questa convinzione era reale? Se si risponde affermativamente, è necessario sottolineare l’inefficienza e la scarsa attendibilità dei servizi di informazione, che avrebbero sbagliato in modo totale una valutazione così importante; ma se si risponde in modo negativo, allora vi è stato un travisamento politico gravissimo nei confronti delle opinioni pubbliche, non soltanto americane ed inglesi, ma di quelle del mondo intero. Giustificare una guerra, per ora fermiamoci soltanto al conflitto, senza analizzare le sue conseguenze, con una enorme  menzogna non può non costituire una forma reato, forse non perseguibile dalla legge, che compromette sul  piano politico e storico le figure politiche principali, cioè di coloro che hanno deciso il conflitto in maniera irreversibile. L’invasione irakena era stata sconsigliata da diverse personalità internazionali, ma sopratutto, da coloro che maggiormente dovevano contare per prendere questa decisione: i diplomatici. In quel momento Saddam Hussein non costituiva un pericolo per l’occidente e poteva ancora mantenere un ordine capace di impedire la deriva attuale, questo non vuole dire che il dittatore doveva rimanere al comando dell’Irak a tempo indeterminato: le violenze di cui era autore andavano punite ed il paese liberato, ma ciò doveva avvenire con altri mezzi ed in maniera graduale. Il numero ingente di morti e le violenze che la guerra ha comportato devono pesare almeno sul giudizio storico e sulla reputazione di Blair e Bush, senza alcun appello. Ma ben più gravi sono state le conseguenze, che hanno determinato l’instabilità attuale dell’area mediorientale per il vuoto di potere che si è venuto a creare e che è stato riempito dal terrorismo islamico, sostenuto in maniera ambigua da stati sunniti formalmente alleati dell’occidente. Questa deriva comporta reponsabilità ben più grandi, di quelle già gravi relative alla guerra irakena. Non è soltanto il numero delle vittime e delle sofferenze che sono scaturite da quella guerra, a queste si deve sommare l’instabilità politica, l’insicurezza mondiale ed anche le conseguenze economiche, che ne sono derivate. L’allargamento del conflitto, con modalità asimmetriche nel mondo occidentale rappresenta una ulteriore conseguenza della volontà di esportare la democrazia in Irak. Blair ha detto che non è pentito ed ha preso le decisioni di allora in maniera sincera e che l’Iraq attuale è migliore di quello di allora. Si può non obiettare alla sincerità dell’ex premier inglese, ma è sicuro che la sua lungimiranza politica e diplomatica fosse stata vicina allo zero, come si evince dai risultati della commissione di indagine e ciò costituisce il giudizio finale, fortemente negativo su di una personalità politica ancora recentemente osannata nel campo di quella che si autodefinisce sinistra progressista. Sul fatto che l’Iran attuale sia migliore è certamente vero per i curdi, che hanno ottenuto una forma di autogoverno vicina all’esercizio totale della propria sovranità, ma per i sunniti, che sono stati invasi dagli estremisti dello stato islamico, si può dire, anche se è un paradosso, che, almeno la situazione non è migliorata, mentre per gli sciiti l’avere preso il comando della nazione, in questo favoriti da una scelta miope delle amministrazioni americane, che non ha favorito la condivisione del potere, ciò ha significato essere maggiormente esposti alla violenza terroristica dell’estremismo sunnita. Infine, il risultato della commissione, non può non significare un giudizio negativo non solo per Blair, ma per tutta la politica estera inglese, che ha dimostrato di non tenere in conto i ripetuti errori storici di cui si è resa protagonista dalla fine dell’epoca coloniale. Bisogna augurarsi che questa forma di autocritica induca i futuri uomini di governo inglesi a non ripetere gli sbagli delle generazioni precedenti, che si sarebbero potuti evitare con un minimo di analisi storica, anche se l’esperienza di Cameron, con lo scriteriato uso del referendum sull’uscita dall’Unione Europea, non autorizza ad essere ottimisti. 

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