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giovedì 14 luglio 2016
Il nuovo governo inglese è una sfida all'Europa
Le nomine dei ministri del nuovo governo inglese, effettuate dal nuovo primo ministro, Theresa May, subentrata a Cameron, sembrano indicare che il Regno Unito intenda affrontare in maniera tutt’altro che conciliante la questione dell’uscita dall’Unione Europea con Bruxelles. Se la nomia maggiormente eclatante è stata quella di mettere a capo del dicastero degli Esteri Boris Johnson, il conservatore che più si è fatto promotore dell’uscita dall’Europa, anche altre nomine indicano che il nuovo esecutivo sia diretto verso una chiusura verso il mondo esterno in senso nazionalista, con una direzione verso l’esaltazione del paese e del suo splendido isolamento. La percezione che forniscono queste nomine è che si voglia assecondare l’elettorato che ha votato per l’uscita, nei suoi sentimenti più profondi; se ciò è vero, il Regno Unito tornerà ad essere un paese chiuso, ma con aspirazioni da grande potenza al di fuori dal tempo. Sarà curioso vedere come il nuovo governo vorrà gestire questa transizione che dovrà, per forza di cose, cominciare dalla gestione del rapporto con Bruxelles per l’uscita dall’Unione. I nuovi governanti, secondo le scelte effettuate, non dovrebbero assumere un atteggiamento conciliante con l’Unione Europea, per accontentare i sentimenti dei vincitori del referendum, sulla cui lunghezza d’onda sembra essersi sintonizzato il nuovo esecutivo. Una tale impostazione non potrà essere tollerante con chi ha da subito affermato che per Londra dovranno essere accelerati i tempi di uscita. Per la nuova primo ministro sarà imperativo non uscire con quella che potrebbe sembrare una sconfitta e, quindi una umiliazione, per il paese. Londra cercherà di strappare le condizioni più favorevoli, ma ciò non potrà che irrigidire le posizioni tedesche, in ragione del ruolo sempre più di guida dell’Unione, che Berlino vuole assumere. In questo scenario Juncker, il Presidente della Commissione europea, rischia di diventare la vittima politica della situazione. Tuttavia, malgrado il tentativo di dimostrazione di forza, questa impostazione data al nuovo governo britannico, appare più che altro un tentativo di nascondere una debolezza che sembra evidente. Se resta vero, infatti, che il Regno Unito ha la possibilità di allungare i tempi dell’uscita, le aziende e le istituzioni finanziarie, possono anticipare i tempi degli accordi definitivi, con traslochi anticipati delle loro attività verso nazioni dell’Unione, che gli permettano di godere in modo sicuro dei privilegi che Bruxelles assicura. Questa eventualità, tutt’altro che remota, potrebbe portare a grandi tensioni nel paese per gli effetti della perdita di numerosi posti di lavoro, a cui dovrebbero aggiungersi i mancati contributi europei, sebbene in una fase presumibilmente successiva. Quello che il nuovo governo inglese non sembra avere tenuto in considerazione è quella parte consistente, seppure in minoranza, del paese che era contraria all’uscita dall’Europa e che potrà riconoscersi in una impostazione totalmente contraria all’Unione Europea. Proprio per questo motivo le prossime elezioni politiche minacciano di portare delle sorprese dalle urne, dove il partito conservatore, malgrado la prova di forza costituita dalla formazione del nuovo governo, non ha superato le divisioni di chi era a favore della permanenza nell’unione. Infatti lo sfoggio di sicurezza della nuova primo ministro appare un atto di forzatura che mira a tranquillizzare gli ambienti politici e sociali del paese, ma che ha poche basi concrete per giustificare tale atteggiamento. Occorre anche ricordare che i rapporti con la Scozia e l’Irlanda del Nord, dove ha vinto l’orientamento per restare in Europa, non potrà essere che di profondo contrasto con il nuovo governo, ed anche la stessa capitale, che si è espressa in modo netto all’uscita da Bruxelles, non faciliterà al vita al nuovo esecutivo, sopratutto da parte delle classi dirigenti produttive. Se con le nomine effettuate il nuovo primo ministro pensa di avvicinare la società del paese alla classe politica, almeno quella parte che ha votato per l’uscita, non sembra che questa intenzione possa riscuotere successo, sopratutto quando gli effetti concreti della decisione diventeranno tangibili e, per altro nessuna nomina ha rappresentato elementi di novità rispetto ad una classe politica che sembra essere sempre la stessa. A questa provocazione l’Unione Europea dovrà rispondere con altrettanta durezza e non concedere alcun vantaggio al Regno Unito, che dovrà diventare uno stato totalmente extracomunitario, senza accordi particolari, pena la perdita della poca credibilità rimasta.
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