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venerdì 22 luglio 2016

Stati Uniti: il Partito Repubblicano arriva diviso alle elezioni presidenziali

Il discorso di Ted Cruz alla convention repubblicana sottolinea quanto i sostenitori di Trump nono vogliono vedere, ma che è risaputo in tutti gli Stati Uniti: il partito repubblicano è tutt’altro che compatto. La divisione all’interno della formazione conservatrice, pur essendo evidente, non è stata affatto affrontata, dal gruppo dirigente e  neppure dai sostenitori di Trump. I primi hanno fatto finta fino all’ultimo che l’ipotesi Trump non si avverasse, senza elaborare strategie alternative per contrastare un candidato indesiderato, i secondi si sono concentrati su una personalità troppo estrema per rappresentare tutto il partito, non tenendo conto delle divisioni che ciò avrebbe procurato. La voce di Cruz è stata l’unica che ha messo in risalto in modo esplicito questa situazione, ma all’interno del partito repubblicano, sia tra gli iscritti, che tra i simpatizzanti, questa tendenza è tutt’altro che assente. Questo non vuole ancora dire che la Clinton otterrà la vittoria in maniera facile, ma la candidata democratica può trarre delle preziose indicazioni per raccogliere voti anche nel campo avverso. L’espressione usata da Cruz, votare secondo coscienza, si è prestata a diverse interpretazioni, tuttavia, quella fornita dal partito, che leggeva la frase di Cruz, identificando Trump come il minore dei mali, sembra la meno probabile. Pur considerando il discorso di Cruz anche come un investimento sul futuro, una autocandidatura per la prossima tornata presidenziale, che implica però la sconfitta di Trump in queste elezioni, l’intenzione espressa sembra inequivocabilmente di esprimere il voto per l’avversaria dei repubblicani. Esiste un ceto appartenente al partito repubblicano che è molto distante dal Tea party, per alcuni considerato un movimento usurpatore all’interno del partito, e di conseguenza dagli eccessi di Trump, amato dall’America profonda e dai cati più bassi proprio per i suoi atteggiamenti anti sistema. Si tratta di un aspetto inconciliabile  per chi è un conservatore convinto, che vede il partito repubblicano a destra, ma pur sempre all’interno dei limiti e dei modi della legge statunitense. L’incarico di Presidente degli USA è il più delicato del mondo e per un repubblicano vedere, anche solo come possibile sviluppo potenziale, una persona non adatta, anche se proveniente dal proprio partito, ricoprire quella carica è fonte di grande apprensione. Putroppo la radicalizzazione della politica non è solo un elemento che si è verificato negli Usa, ma ormai è un male mondiale. Trump ha sfruttato lo scontento degli strati conservatori più bassi ed ha saputo intercettarlo a suo favore ed il grande   errore del partito repubblicano è stato quello di non presentare una alternativa più moderata con un candidato capace di produrre un programma in grado di captare più consensi. Ma, forse, in questo periodo non era possibile sconfiggere Trump, almeno nel campo conservatore, proprio perchè le manovre del tea party, per guadagnare il consenso all’interno del partito erano già andate troppo avanti. Gli errori maggiori, infatti, sono stati fatti prima, quando si è sottovalutato il fenomeno e non si è intervenuti credendo di riuscire a governarlo. Forse solo una sconfitta di Trump, meglio se di grandi dimensioni, potrà permettere al partito repubblicano di riprendere la propria fisionomia tradizionale ed allora, probabilmente, Cruz avrà qualche chance di arrivare a competere per il posto di presidente degli Stati Uniti, viceversa i repubblicani che non apprezzano questo candidato possono sperare in una sua presidenza fallimentare, ma questa eventualità porterebbe disastri ben fuori dagli Stati Uniti e non è certo auspicabile. Alla fine però Ted Cruz sembra avere ragione piena: la Clinton è verante il male minore, sia per gli Stati Uniti, che per il mondo.

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