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martedì 30 agosto 2016
La Francia si oppone al trattato del libero scambio con gli USA
La questione degli accordi tra Unione Europea e Stati Uniti per il libero scambio, promette di diventare un ulteriore argomento in grado di aumentare i dubbi sul futuro di Bruxelles. In questi giorni la Francia ha assunto una posizione ufficiale nettamente negativa contro i termini dell’accordo, ufficializzando i pensieri critici di buona parte dei movimenti sociali in Europa. L’accordo è sembrato, infatti, da subito, troppo sbilanciato a favore di Washington e dei suoi prodotti, penalizzando, sopratutto, il settore agro alimentare europeo. Deve essere specificato che gli Stati Uniti hanno mantenuto una posizione troppo rigida, che ha fornito la sensazione di tutelare soltanto i troppi interessi, interpretando, all’interno dei negoziati, una ruolo niente affatto collaborativo, che non ha prodotto aperture circa le istanze dei paesi mediterranei e sopratutto della Francia. La posizione di Parigi non è condivisa dalla Germania, che ha interessi opposti, determinati da un settore produttivo totalmente differente a quello di Francia ed Italia. Berlino infatti ha continuato ad essere favorevole alle regole imposte da Washington, individuandole come una opportunità economica ed un volano in grado di fare crescere le rispettive economie. Si è creata così una frattura, l’ennesima, in seno all’Unione, che minaccia in maniera ulteriore gli equilibri all’interno dell’Unione Europea, già provati dalla crisi economica e dall’uscita della Gran Bretagna. In senso assoluto le ragioni francesi, condivise in parte anche dall’Italia, non possono essere contestate: gli Stati Uniti vogliono imporre delle regole che sono le loro, sia in fase di produzione e vendita delle merci, che in fase di arbitrato, regole, che se applicate, abbasserebbero i criteri di salvaguardia e sicurezza dei consumatori europei, sopratutto per quanto riguarda il comparto alimentare, e penalizzerebbero i produttori, che entrerebbero in concorrenza con industrie soggette a meno controlli e restrizioni. Si tratta, evidentemente, di sensibilità differenti, che paiono inconciliabili, se rapportate alla visione americana, troppo liberale in materia di sicurezza alimentare. Vista da questa ottica si comprende come l’affinità tra statunitensi ed i tedeschi sia maggiore rispetto a quella, che si registra su questi temi tra Berlino e Parigi. Però ciò crea un ostacolo pericoloso a tutti quei processi che dovrebbero garantire la sopravvivenza europea, sopratutto dopo l’episodio dell’uscita inglese. Forse era opportuno non arrivare a questo punto e chiarire meglio le idee sull’accordo del libero scambio con gli USA, prima di tutto all’interno dei membri europei. La pressione americana, per arrivare alla conclusione del trattato, peraltro sempre più lontana, rischia di trasformarsi in un fattore di divisione molto pericoloso, in un momento delicato per l’Unione Europea, con la questione del rilancio dell’economia, attraverso una minore rigidità dei conti pubblici dei singoli paesi, che è fonte di divisione tra i paesi del sud Europa e la Germania. Una visione negativa del’accordo sul libero scambio è anche una interpretazione dei problemi che la globalizzazione può provocare; questa visione parte dall’identificazione di questo accordo e delle regole che vuole cambiare ed imporre come una spinta verso una globalizzazione di accezione negativa, una modalità da cui si doveva rifuggire per cercare una via più rispettosa delle istanze locali. Questi temi hanno ormai travalicato gli originari schemi della sinistra, da cui erano partiti, per essere abbracciati anche da formazioni più conservatrici, fino ad arrivare alle forze populiste, che li usano per criticare le impostazioni su cui si basa l’Unione Europea. Questo argomento deve costituire un attento elemento di analisi, per evitare di incrementare le posizioni anti europeiste, le quali hanno già troppi argomenti su cui fare leva; quindi la situazione attuale deve essere sfruttata per unire i paesi europei, piuttosto che dividerli, senza privilegiare, ancora una volta, esclusivamente l’aspetto economico a discapito di fattori che possono essere riferiti in modo più intrinseco ai singoli paesi e, che se sommati, possono costituire parte dell’espressione in grado di dare forma, in maniera sostanziale all’Unione Europea. Si tratta di ragioni identitarie e di principi da cui dovrebbe essere impossibile derogare e da usare come base di partenza per fare ripartire lo spirito costitutivo dell’Unione. Si tratta, in sostanza, di un investimento sul futuro non solo politico, ma anche economico dell’Europa, che deve sviluppare e tutelare i propri prodotti di eccellenza, che devono essere visti non come espressione di una o poche nazioni, ma ricondotti ad un valore comune. Con queste basi si potrà ottenere di più non solo dal trattato con gli Stati Uniti, ma dai rapporti stessi tra i membri dell’Unione Europea.
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