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giovedì 4 agosto 2016
Stati Uniti: è necessario rifondare il partito repubblicano per la stabilità del paese
Durante la convention repubblicana l’immagine del partito era risultata tutt’altro che unita; soltanto la base elettorale sembrava compatta nell’appoggiare Trump, mentre il ceto dirigente si era visto praticamente costretto ad avvallare la nomination del miliardario, grazie ai voti raccolti nelle primarie, grazie ad una campagna populista fatta di slogan, ma non sorretta da un adeguato e chiaro programma di governo. L’attuale condotta elettorale di Trump, peraltro perfettamente in linea con quella tenuta per la corsa alla nomination, sta creando ulteriore malumore nella dirigenza del partito repubblicano, con diversi esponenti di primaria importanza, che stanno dando pubblicamente il loro appoggio alla candidata democratica. Se le ipotesi circolate di un accordo tra Bill Clinton e lo stesso Trump, che si sarebbe prestato a recitare la parte del candidato ineleggibile, non sembrano potere essere prese sul serio, se non come fantapolitica, la realtà attuale del partito repubblicano è quella di una grande distanza tra la base ed il gruppo dirigente, che si è visto imporre Trump soltanto dai risultati elettorali. La responsabilità è senz’altro da ricercare proprio in quel gruppo dirigente che ora prende le distanze dal candidato espresso dalla convention, per non avere saputo governare la situazione e non avere trovato candidature alternative credibili. Certamente questo risultato non ha avuto uno sviluppo istantaneo e Trump non ne è la causa ma soltanto l’effetto; occorre collocare l’inizio di questa deriva del partito repubblicano dal sopravvento che il movimento del Tea party ha avuto all’interno della formazione politica, portando al suo interno una visione politica distante da quella classica dei repubblicani, ma capace di attirare il malcontento degli elettori di un’America sempre più scontenta e geograficamente individuabile nelle periferie e negli stati più arretrati. Probabilmente il gruppo dirigente del partito ha pensato al Tea party come una possibilità per attrarre un elettorato che spesso disertava le urne, ma che poteva essere facilmente controllato, se non manipolato. Così non è stato: la visone di una destra moderata, spesso vicina a diversi punti del partito democratico, è stata travolta portando la base del partito su posizioni più estreme, che si sono catalizzate intorno alla paura del diverso, alla idea della supremazia americana nel mondo, con il contorno della pressione della lobby delle armi ed una visione distorta dell’idea dell’ordine. Intorno a questi concetti, spesso non sorretti neppure da programmi in grado di attuarli si è sviluppata una capacità di attrattiva completamente divergente dagli ideali che delineavano l’elettore repubblicano classico. Il risultato è stato quello di avere un partito repubblicano che è diventato, almeno nella maggior parte della sua base, un partito diverso da quello che è sempre stato, dove la moderazione sembra essere sparita e dove i modi di fare politica spesso travalicano spesso i confini della decenza. Questa scenario serve anche ad individuare il gruppo dirigente del partito per squalificarlo alla base elettorale, classificandolo come lontano dalla gente comune, una sorta di aristocrazia con problemi troppo diversi per comprendere i ceti medi e bassi che scelgono Trump. Risulta chiaro che, in un sistema che per decenni è stato imperniato su di una competizione elettorale fondata su minime differenze tra i due partiti maggiori, l’attuale configurazione del partito repubblicano costituisce anche un problema per il funzionamento del sistema politico statunitense e della stessa democrazia americana. Se è vero che a Washington ci sono gli anticorpi costituzionali per arginare questo pericolo è un fatto che è interesse di tutto lo scenario internazionale, probabilmente anche dei nemici degli USA, che il paese più importante del mondo continui ad avere criteri di stabilità garantiti da un sistema politico che funzioni con modalità più che consuete. Bisogna ricordare che il funzionamento del sistema politico americano dipende molto da chi sarà eletto presidente, ma non solo: anche la composizione del Congresso è importante ed un Partito repubblicano costituito da populisti e persone con una visione tale da riportare il paese ad alcuni decenni prima, rappresenta un pericolo altrettanto grave. Quindi anche con la possibile sconfitta di Trump la questione non sarà chiusa, tuttavia ciò potrà dare modo all’organizzazione repubblicana di effettuare una rifondazione per portare il partito dove le sue idee più tradizionali tornino ad essere prevalenti e levare le nefaste influenze populiste dal suo interno.
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