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mercoledì 2 novembre 2016
Medio oriente: oltre Mosul, la Siria di nuovo centrale
Tecnicamente la battaglia per Mosul è iniziata con l’avanzata delle forze speciali irakene, sostenute dall’aviazione americana ed affiancate dalle milizie curde e sciite. Sull’esito finale della battaglia e, quindi, della guerra al califfato in Iraq, non sembrano esserci dubbi: la vittoria di Bagdad e degli USA appare come un fatto ineluttabile. Tuttavia il fattore tempo diventa essenziale, per ridurre le perdite e per alleviare le difficoltà della popolazione; collegato a questo fattore esiste la concreta difficoltà di catturare tutti i membri dello Stato islamico, impegnati a difendere Mosul, per evitare una fuga verso la Siria o verso i paesi di provenienza. La stima sull’entità numerica di questi combattenti varia da 3.000 a 3.500 unità. Il califfato non ammette defezioni o diserzioni ed alcuni membri delle milizie, che avrebbero cercato di abbandonare la città, sarebbero stati giustiziati. Questo particolare indica che il califfato si starebbe indebolendo nella sua parte militare, per così dire tradizionale, ma ciò potrebbe aprire nuovi scenari di combattimento, come un uso maggiore degli atti terroristici tradizionali. In effetti, questa ipotesi sembra essere supportata da un incremento degli attentati nella capitale irakena, spesso diretti contro gli sciiti, quale ritorsione dell’avanzata verso Mosul. Si tratta, indubbiamente, di un rafforzamento della strategia terroristica da parte dello Stato islamico, una scelta in cui il califfato è costretto dalla progressiva sottrazione di sovranità dei territori che aveva conquistato e che ne mette in discussione la ragione stessa della sua esistenza. La costruzione di un califfato, come entità autonoma e sovrana, in grado di imporre una propria legislazione a sostegno di una amministrazione autonoma, era la ragione principale dello Stato islamico ed anche quella che lo differenziava da Al Qaeda. La perdita dei territori su cui effetivamente governava rende lo Stato islamico una organizzazione terroristica al pari delle altre, con una perdita di prestigio non indifferente, e l’uso degli attentati non fa che confermare questo declino. Ciò, però, non rende meno pericoloso il califfato: la reazione rabbiosa potrebbe estendersi anche al di fuori dei confini del medio oriente, sopratutto in Europa, dove la visibilità degli attentati, potrebbe consentire di riguadagnare qualcosa in termini di credibilità, sopratutto, negli ambienti più estremisti. Questa eventualità è vista con preoccupazione nelle cancellerie occidentali ed un allarme delle autorità inglesi non fa che confermare questo scenario. Se la conquista di Mosul è ormai certo che avverrà, la sconfitta completa dello Stato islamico è ancora lontana se non sarà debellato anche dalla Siria, dove conserva ancora il dominio di alcuni territori. La situazione irakena è più netta e distinta e ciò ha costituito il motivo della avanzata delle forze regolari irakene, che rappresentano l’unico soggetto ufficiale, sebbene sostenute da alleati fondamentali come i curdi e gli iraniani, nel conflitto contro il califfato. In Siria, invece, la presenza di una molteplicità dei soggetti in campo ed i relativi interessi contrastanti, non permettono una altrettanta chiarezza nella lotta al califfato, che trae vantaggio da questa situazione per la sua sopravvivenza. Una presenza ancora sostanziosa nel territorio del paese siriano dello Stato islamico, può costituire una base per il reclutamento di nuovi miliziani ed anche una minaccia costante per le zone irakene liberate. Uno degli possibili sviluppi è che le milizie sciite, che hanno appoggiato l’esercito irakeno, possano muovere contro le forze del califfato in Siria; questa soluzione sarebbe senz’altro appoggiata dal governo di Damasco e dai suoi alleati russi, da sempre in contatto con l’Iran, altro alleato di Assad, che sarebbe dietro ai combattenti che hanno aiutato il governo di Bagdad, composto, appunto da elementi di origine sciita. Questa possibilità non può essere gradita a Washington, che appoggia le forze moderate sunnite, contrarie ad Assad. Qui peserà molto l’esito della competizione elettorale americana, dove, in caso di vittoria della Clinton, potrebbe aumentare l’impegno diretto statunitense per bilanciare la presenza russa, concretizzandosi una completa inversione rispetto a quanto deciso fino adora da Obama. La Clinton, infatti, ha una fama di interventista nelle questioni internazionali ed ha più volte criticato il presidente americano uscente per come ha condotta la questione siriana. C’è poi, da considerare le intenzioni della Turchia, il cui governo avrebbe espresso l’intenzione di considerare le zone siriane ed irakene oltre i propri confini, come una sorta di propria pertinenza, paragonandole a quanto rappresentano per Mosca, la Crimea ed i territori dell’Ucraina orientale. Per Erdogan è sempre presente il desiderio di ripetere, in versione moderna, quanto rappresentato dall’impero ottomano, di cui ritiene la Turchia moderna la legittima erede. Inoltre la presenza in Irak di una minoranza turcomanna lo spingerebbe ad intervenire, distogliendo, così, l’opinione pubblica interna dai problemi del paese. La posizione della Turchia nel conflitto siriano è però ambigua: fino a poco tempo prima Ankara era fermamente contraria alla permamenza al potere di Assad, ma quando questi ha rivolto le proprie armi contro i curdi, si sono aperti spazi di intesa, così come la ripresa del dialogo con il Cremlino ha favorito la nascita di una strategia comune; occorre ricordare che la Turchia è stata una dei principali indiziati per il sostegno finanziario allo Stato islamico e quindi i suoi propositi sono da valutare attentamente. Sullo sfondo di un possibile intervento turco in Irak, per ora sempre rifiutato da Bagdad, resta la divisione religiosa tra i due governi espressione delle confessioni sunnite e sciite. A questo occorre aggiungere l’allontanamento di Ankara da Washington, un elemento che contribuisce a rendere meno chiara la situazione. Se la battaglia di Mosul, quindi, segnerà la sconfitta del califfato in Iraq, non sarà ancora la fine del califfato: la Siria torna ad essere centrale nel conflitto del medio oriente.
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