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venerdì 2 dicembre 2016
Le prime nomine di Trump contraddicono i suoi proclami elettorali
Se uno dei motivi per non votare Hillary Clinton, era quello di impedire l’ingresso della finanza e della globalizzazione alla Casa Bianca, ecco che le nomine del nuovo presidente Trump, che in campagna elettorale si era detto contrario all’influenza della finanza e della delocalizzazione delle imprese statunitensi, per quanto riguarda le cariche di Segretario del commercio e del tesoro vanno proprio in questo senso, contraddicendo i pur labili programmi del miliardario americano. Così Trump scopre il suo vero volto di opportunista, capace di stringere alleanze con i rappresentanti dei settori più potenti dello stato federale, quelli che dovevano essere esclusi a causa del loro operato, che tanti danni ha creato per il sistema americano. Poco importa anche, che uno dei due nominati sia stato un finanziatore della Clinton: la dote della coerenza, ormai si è capito, non appartiene al nuovo inquilino della Casa Bianca. Wilbur Ross, che ricoprirà la carica che dovrà sovraintendere alla delicata materia del commercio, è una delle massime espressioni di chi ha usato il libero scambio e le opportunità della deregolamentazione, il contrario del protezionismo invocato da Trump, per arricchirsi: possiede fabbriche tessili in Messico e Cina ed acciaierie in Spagna; la sua storia di delocalizzazioni aziendali non sembra conciliarsi con i temi, in favore del mantenimento del lavoro negli USA e per gli statunitensi, che hanno portato Trump all’elezione. Il futuro Segretario del tesoro, invece, si chiama Steve Mnuchin, è stato vice presidente della banca d’affari Goldman Sachs; questa provenienza indica come Trump voglia, in modo pratico, ingraziarsi la benevolenza di Wall Street e della finanza americana, dopo averla falsamente combattuta in sede di campagna elettorale. Il dubbio reale, che queste nomine provocano, è che il programma elettorale, volutamente non preciso e non circostanziato, ma basato su slogan elettorali fine a se stessi, che Trump ha portato avanti nella sua campagna elettorale, sia rimasto nascosto per occultare secondi fini del tutto contrari a quanto gli ha permesso di arrivare alla vittoria. Nelle spiegazioni degli analisti e dei politologi avvenute immediatamente dopo il trionfo di Trump, si giustificava la vittoria del miliardario come candidato antisistema e perchè la Clinton rappresentava con troppa evidenza la parte degli Stati Uniti più ricca e potente e comunque collusa con il sistema finanziario, in ultima analisi responsabile delle crisi economiche. Sarà ora interessante constatare quali saranno le spiegazioni che gli esperti produrranno per queste nomine, che non appaiono certo di rottura. Un aspetto particolarmente rilevante è come questa, che appare come una inversione netta di Trump ai propri proclami, non sembra essere stata affatto prevista dagli esperti, nella foga di sposare una lettura della vittoria del nuovo presidente americano soltanto come una contestazione popolare dello status quo. Quello che si sembra percepire, invece, è una riproposizione del dominio dell’establishment in aperto contrasto con il volere degli elettori di Trump e del principale gruppo che lo ha sostenuto: il Tea Party. Al contrario questa sembra l’affermazione di chi, pur essendo nella sua sfera politica, sembrava non sostenerlo: gli esponenti tradizionali del partito repubblicano. Si è di fronte così all’assunzione di una rilevanza molto importante, che sembrava perduta, del partito repubblicano, contrariamente alla percezione di quanto l’elezione di Trump aveva comunicato. Tutta l’opinione pubblica americana è stata allora ingannata? Si è trattato di una strategia concertata con i vertici del partito o Trump ha pianificato una campagna in una determinata direzione, soltanto con il fine di raggiungere la carica di Presidente, senza, in realtà, avere intenzione di attuare i suoi proclami elettorali, ma, anzi, di contraddirli completamente, per mantenere il potere nelle solite sedi? Ed, ancora, Trump è l’ideatore di questo schema o è soltanto il manichino manovrato da poteri occulti, impossibili da scalzare. Se queste domande troveranno delle risposte affermative, anche parziali, significa che l’elettorato americano non aveva davanti una vera alternativa, che, forse, si poteva concretizzare con Sanders, che, non per niente, è stato boicottato dal partito democratico, anche attraverso una condotta poco onesta dei suoi vertici. Alla fine chiunque avesse vinto, era importante che il potere reale che comanda gli Stati Uniti restasse in luoghi ben definiti: nonostante le recite dei due candidati arrivati allo scontro finale.
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