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giovedì 5 gennaio 2017

Hollande avrebbe ordinato esecuzioni di terroristi in paesi stranieri

La notizia che il Presidente della repubblica francese, Hollande, avrebbe ordinato l’eliminazione fisica di alcuni terroristi radicali di primo piano, senza il supporto della magistratura francese, ed in collaborazione con l’amministrazione statunitense del presidente Obama, impone alcune riflessioni sulla questione. Se questa pratica  può apparire consueta e, talvolta giustificata, come tattica preventiva, non si può non considerare i vari aspetti che vengono implicati. Questa misura, infatti, comporta la violazione di una serie di norme, sia interne al diritto francese, che a quello internazionale, che le eventuali ragioni di opportunità non bastano a giustificare, sopratutto in uno stato, come quello francese, ma ciò vale anche per quello americano, che si definisce una democrazia e si propone come modello da seguire. Il numero degli omicidi mirati sarebbe di circa quaranta, una quantità che oltrepassa il singolo episodio, comunque anch’esso da condannare, e pare una pratica che ha assunto una certa consuetudine, come fattore di risoluzione di un problema certamente grave. Sul piano del diritto interno appare evidente che si tratta di un ordine proveniente esclusivamente dal potere esecutivo, senza il supporto del potere giudiziario, che non ha avvallato queste misure con apposite sentenze, peraltro impossibili dato che in Francia la pena di morte è stata abolita. Il presidente Hollande sarebbe, dunque, incriminabile per queste azioni; inoltre lo stesso presidente aveva pubblicamente riconosciuto, alcuni mesi prima, di avere ordinato personalmente l’eliminazione fisica di terroristi: ciò potrebbe comportare anche la violazione del segreto di stato. Sul piano internazionale appare evidente che sono state infrante le norme del diritto internazionale, perchè queste operazioni sono state effettuate al di fuori della giurisdizione francese e su territori la cui sovranità spettava ai governi di quei paesi.  Il teatro delle esecuzioni sarebbero state le nazioni di  Mali, Siria, Etiopia, Libia ed Egitto, paesi dove gli interessi francesi erano, e sono, strategici. Anche nell’eventualità che le eliminazioni fossero state concordate con i governi di quei paesi è indubbio che la attività extraterritoriale francese sia stata illeggittima. Vi è poi una valutazione di carattere politico, oltre che una di carattere pratico, dalle quali non è possibile esimersi. Politicamente la decisione di compiere queste azioni avrebbe subito la giusta condanna, se fosse stata operata da un governo di destra, il fatto che siano state eseguite da un governo, che si definisce di sinistra e che dovrebbe garantire l’applicazione di determinati diritti e la certezza di muoversi entro i confini imposti dalle leggi, rappresenta una evidente sconfitta, oltre che una contraddizione in termini. Sul piano internazionale il prestigio del governo francese e della stessa Francia non può non apparire compromesso, proprio per l’evidente violazione della legalità a cui il paese si richiama. Dal punto di vista pratico le eliminazioni ordinate non hanno evitato alla Francia l’ondata di attentati e di vittime di cui è stata fatta oggetto; certamente si può obiettare che senza queste esecuzioni la Francia avrebbe potuto subire una pressione terroristica ancora maggiore, tuttavia il ricorso a queste misure evidenzia una debolezza dell’apparato di prevenzione francese preoccupante: infatti la percezione è che l’eliminazione fisica dei terroristi, se avvenuta in azioni mirate e non in scontri o combattimenti, sia l’estrema risorsa a cui ricorrere per proteggere il paese o gli interessi vitali strategici del paese, senza avere alternativa alcuna, di altro tipo. Proprio il numero, abbastanza sostanzioso, di eliminazioni selettive operate, denuncia,  quanto  meno, la volontà di ricorrere ad una scelta estrema come mezzo praticamente consueto di azione. La domanda da farsi è se un paese europeo e l’Europa stessa, può soprassedere a questi mezzi ed accettare queste soluzioni, senza valide alternative all’interno delle legislazioni vigenti? La questione è di difficile soluzione, perchè occorre come si vuole considerare un paese alleato, il cui governo infrange le proprie norme e quelle del diritto internazionale, forse, sarebbe opportuno, che Bruxelles si impegnasse in modo pratico anche nei confronti di questi casi.

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