La Corte Suprema britannica ha deciso che l’uscita del Regno Unito dall’Europa deve essere approvata dal Parlamento di Londra. Questa decisione supera l’intenzione del governo di Teresa May, di utilizzare la cosidetta “prerogativa reale”, che consente all’esecutivo inglese di prendere alcune decisioni, per conto della Corona reale, senza consultare l’organo legislativo. Questa era proprio la strada che il governo inglese aveva deciso di intraprendere per uscire dall’Unione Europea attraverso l’applicazione dell’articolo 50 del trattato di Lisbona. Senza il passaggio parlamentare il governo di Londra avrebbe potuto godere di una maggiore libertà di azione e di una procedura più celere, tuttavia, il ricorso di alcuni cittadini inglesi e del governo scozzese, presso la Corte Suprema, a favore di un pronunciamento del parlamento metteva in dubbio il programma della May, La decisione della Corte Suprema non era scontata, ma certamente prevedibile, dato il peso politico e storico del parlamento inglese, che non poteva essere escluso da una decisione di una tale importanza. Questo valore, d’altronde, è stato confermato dalla decisione presa a favore dei giudici della Corte con sette favorevoli, contro soli tre contrari; numeri che rilevano una uniformità del voto in favore del pronunciamento parlamentare. La ragione legale della decisione risulta essere insita nella convinzione che la prerogativa reale, alla quale si appellava il governo, non può essere usata per intaccare la sovranità del parlamento in materia di formazione delle leggi, mezzo necessario, attraverso il quale si dovrà sancire l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La decisione della Corte non sovverte la decisione presa dal popolo britannico, durante il referendum per l’uscita dall’Europa, ma, in sostanza, ribadisce, l’applicazione delle normative, a cui anche il governo inglese deve essere soggetto. La decisione della Corte Suprema, poi, ribadisce quanto già deciso, alla data del 4 novembre 2016, dall’Alta Corte Britannica, dove era stato fatto il primo grado del ricorso e costituisce la sentenza definitiva sulla questione. Politicamente non sembra cambiare nulla, sembra molto difficile, infatti, che il parlamento intenda rovesciare il risultato del referendum, tuttavia per il governo i margini di manovra per decidere l’uscita dall’Europa vengono ridotti: in una nazione divisa in due, i favorevoli all’uscita dall’Europa sono il 52%, concentrati nelle campagne e nelle periferie inglesi, contro il 48% dei favorevoli, concentrati nelle città, l’esecutivo si è adeguato soltanto alla volontà dei vincitori, senza tenere conto delle ragioni degli sconfitti. L’obbligo per il governo di scrivere il disegno di legge per l’uscita dall’Unione, che deve essere valutato dal parlamento, potrebbe favorire l’opposizione, se vorrà rappresentare le istanze di chi ha votato no, per mitigare le modalità e le condizioni di uscita da Bruxelles. Tecnicamente l’esecutivo deve presentare una proposta di legge il più breve e concisa possibile, per evitare eventuali modifiche parlamentari, tuttavia il parere dei legali consultati dall’esecutivo, sembra essere fortemente contrario a questa opzione, perchè si potrebbero aprire numerose azioni legali nel futuro. All’interno dei due partiti vi è uno schieramento trasversale, anche se più numeroso nei laburisti, che gradisce una uscita meno rigida e che lasci degli spiragli per mantenere ancora contatti con l’Unione Europea, che rappresenta sempre, anche senza regno Unito, il più esteso e pregiato mercato unico del mondo. Se verrà attivata una politica di contrasto, capace anche solo di rallentare il programma di Teresa May, per l’esecutivo in carica potrebbe trattarsi di una sconfitta con conseguenze pratiche e politiche tutte da valutare.
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