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mercoledì 25 gennaio 2017
Siria: raggiunto ad Astana un accordo per il cessate il fuoco
Nella conferenza di Astana sulla Siria, le parti hanno raggiunto un accordo che dovrebbe consentire il controllo e l’attuazione del cessate il fuoco, con il fine, anche, di evitare qualsiasi provocazione che possa riaprire il conflitto. Si tratta di una base di accordo che appare senz’altro debole, un risultato dovuto all’insufficiente coinvolgimento dell’opposizione al regime di Assad ed alla mancata imparzialità dei tre paesi che hanno promosso la conferenza, Iran, Russia e Turchia, troppo coinvolte dai loro interessi specifici sul destino del paese siriano. L’opposizione, che, occorre ricordarlo, è di matrice sunnita, pur firmando l’accordo, ha manifestato la propria insoddisfazione per l’azione troppo invasiva dell’Iran, che continua la propria azione militare nelle zone sunnite, causando la fuga della popolazione ed il conseguente insediamento degli sciti. La firma dell'accordo, tra tutti gli effetti espliciti, rende efficace anche quelli impliciti, come, appunto, l’azione iraniana, perchè non la condanna espressamente. Per Teheran presidiare il territorio siriano è diventato un obiettivo strategico, come la stessa sopravvivenza del regime di Damasco, ritenuto un alleato funzionale al contenimento delle possibili azioni delle monarchie del Golfo, in special modo il tradizionale avversario dell’Arabia Saudita. Ma i ribelli sono stati anche delusi dal comportamento della Turchia, che doveva essere il paese presente proprio per garantire le forze sunnite di opposizione. Ankara ha mantenuto un atteggiamento giudicato troppo morbido dai ribelli, favorendo così Assad e le forze sciite. La Turchia, sembra avere usato i ribelli per accreditarsi alla conferenza di Astana, senza tutelarli in modo sufficiente, ma soltanto per portare avanti i propri interessi circa il contenimento dei curdi ed eliminare ogni possibilità della creazione di uno stato o di una entità autonoma curda, sui propri confini. Per la Russia la conferenza serviva più che altro ad accreditare Mosca, di fronte allo scenario internazionale, come nuovo protagonista sul teatro diplomatico e difendere la propria azione militare, presentata come contro il terrorismo, ma in realtà in favore del mantenimento al potere di Assad, che senza l’intervento russo , sarebbe stato in una posizione differente da quella attuale. Anche le dichiarazioni positive del capo delegazione russo, sembrano essere facilmente contraddette dal clima in cui si è svolto l’incontro, dove le delegazioni opposte non hanno mai avuto incontri diretti, ma soltanto mediati dai negoziatori dei paesi organizzatori e che si sono svolte in un clima di palese squilibrio a favore di Damasco. Ma il fattore più negativo appare l’assenza di un programma politico che veda coinvolta in modo effettivo l’opposizione, per la costruzione del futuro del paese siriano. I movimenti contrari ad Assad restano, per ora, fuori, da un processo organico di ricostruzione delle istituzioni siriane, saldamente in mano a Damasco. Questo fatto potrebbe essere determinante per il proseguimento della tregua faticosamente raggiunta, giacché, dal punto di vista politico, le opposizioni restano senza alcuna concessione e sul medio periodo questa mancanza potebbe essere occasione per riprendere le ostilità. Comunque, se si vuole considerare in modo positivo il raggiungimento di un accordo, ancorché insufficiente, dopo tanti tentativi falliti, la diplomazia non deve cessare di cercare nuove forme di dialogo e soluzioni che sappiano coinvolgere le opposizioni, in modo da eliminare le possibili cause di riapertura del conflitto, anche se non sarà facile convincere Assad, che gode sempre di più di una posizione di forza.
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