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venerdì 17 marzo 2017

La manovra economica proposta da Trump

Con un documento di sole dieci pagine, Donald Trump presenta il budget per l’anno fiscale 2018 degli Stati Uniti; pur essendo un documento molto ridotto esprime la filosofia del nuovo presidente americano con la volontà di uscire dalle logiche del passato, non solo quello democratico di Obama, ma anche dello stesso Bush, che pure era un esponente repubblicano. Il programma elettorale, contraddistinto dallo slogan “America First” viene tradotto in modo pratico con l’estensione di un budget che predilige la difesa e la sicurezza interna a discapito della lotta alla povertà, alla sicurezza sul lavoro, all’ambiente, alle case ed allo sviluppo urbano, al Dipartimento di Stato ed attraverso di esso il sostegno delle organizzazioni internazionali, al Dipartimento per il commercio fino alla sanità, all’istruzione ed all’arte. Le contraddizioni sono evidenti: ad esempio con la volontà espressa in campagna elettorale di proteggere il lavoro negli Stati Uniti, anche attraverso politiche di sostegno per la riqualificazione, perseguite solo con una pratica protezionistica che comincia già a fare intravvedere l’impossibilità di essere realizzata. D’altra parte il vero feticcio del programma elettorale di Trump appare la costruzione del muro con il Messico, un investimento da circa sette miliardi in due anni, come se questa barriera potesse risolvere tutti i problemi della sicurezza interna degli Stati Uniti. Un ulteriore contraddizione è l’aumento del 10% delle spese militari: ora questo investimento come si può spiegare con la volontà presente in campagna elettorale di una riduzione dell’impegno statunitense nel mondo? Se, da un lato, c’è stata una pressione delle lobby delle armi e degli stessi vertici militari, per un incremento della spesa, questa deve anche essere giustificata per un effettivo utilizzo; una spiegazione può essere che Trump abbia già abbandonato tutti i programmi di volontà di disimpegno militare a causa delle necessità del ruolo USA nel mondo, funzionale agli stessi interessi economici nazionali. Ciò denoterebbe, come più volte sospettato, una conduzione incerta e poco esperta dell’azione politica, sopratutto in politica estera, da parte del nuovo presidente, costretto a variare i suoi intenti a seconda delle esigenze del momento e sotto una grande influenza dei suoi consiglieri. Questa incertezza sembra essere dimostrata proprio dall’incremento nella spesa per la difesa, che avviene senza una giustificazione pubblica, perseguita attraverso una programmazione delle intenzioni di politica estera ma, quasi, in attesa degli eventi.  Dove i tagli colpiscono di più sono i settori sociali, denunciando un contrasto con quella parte di elettori che ha sostenuto Trump, che proviene dai ceti medi ed operai; se la diminuzione della previsione di bilancio per l’ambiente, anche per favorire una politica industriale più spinta, può apparire comprensibile, anche se la stessa Casa Bianca, stima una perita di tremila posti di lavoro a seguito di questi tagli, lo è di meno quella destinata al supporto dell’agricoltura, sopratutto verso le zone più disagiate, così come la riduzione per la sanità di quasi 20 miliardi di dollari, che obbligherà i ceti disagiati a rivolgersi di nuovo alle assicurazioni private. In questa ottica risulta fortemente demagogica la decisione di aumentare del 10% il budget per i veterani, per consentire loro l’accesso alla sanità privata. Questa elaborazione di Trump costituisce soltanto una proposta per il Congresso, che dovrà formulare la legge finanziarla ed arrivare alla sua approvazione. Il potere legislativo, pur essendo a maggioranza repubblicana, potrebbe creare diversi problemi per l’approvazione di questo budget, sia per l’avversione dei democratici, ma anche degli appartenenti al partito di maggioranza, ma di tendenza più moderata rispetto alla visione presidenziale. In ogni caso il rischio grande è di assistere alla trasformazione degli Stati Uniti in senso maggiormente individualista, con un aumento esponenziale delle diseguaglianze a favore dei ceti maggiormente ricchi, con la conseguenza di creare una fascia di povertà sempre più estesa: non certo quello che i ceti popolari che hanno espresso il loro sostegno a Trump avevano intenzione di vedere.       

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