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mercoledì 7 febbraio 2018

Bruxelles pensa all'ammissione dei paesi balcanici nell'Unione

Uno egli obiettivi del Presidente della commissione europea Juncker era l’allargamento dei membri dell’Unione Europea. L’ingresso di nuovi stati è fermo dal 2015, quando fu ammessa la Croazia. Precedentemente nel 2004 entrarono dieci paesi, gran parte dell’ex blocco sovietico, i paesi baltici e Malta, mentre nel 2007 fu il turno di Bulgaria e Romania. I paesi balcanici, quelli provenienti dalla dissoluzione della Jugoslavia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Kosovo, più l’Albania, è da tempo che ambiscono a fare parte dell’Unione e va detto che geograficamente la vicinanza all’Europa giustificherebbe queste ambizioni. Tuttavia soltanto Serbia e Montenegro hanno aperto i negoziati con Bruxelles per l’ammissione, mentre gli altri paesi, hanno, per ora, minori possibilità di ingresso nell’Unione. Le intenzioni del Presidente della commissione e della rappresentante per l’Unione della politica estera, sono quelle di cercare delle soluzioni per l’ingresso dei paesi balcanici in Europa, ma, al momento, i requisiti richiesti non sono soddisfatti. Sul tema dei diritti fondamentali questi paesi sono ancora lontani dagli standard europei e Bruxelles ha richiesto riforme concrete; anche i contrasti tra i paesi balcanici per ragioni di confini rappresentano un ostacolo importante, così come il grande livello di corruzione e la presenza molto rilevante della malavita all’interno della vita istituzionale sono argomenti, che, allo stato attuale bloccano ogni possibilità, se non saranno risolti. Dentro  le istituzioni europee il pensiero dell’inclusione è motivato dalla volontà di prevenire una possibilie instabilità sui confini europei, tuttavia non c’è da attendersi un favore generale al potenziale ingresso dei nuovi membri. Una delle ragioni che più preoccupano i contrari è la possibilità che i paesi balcanici, una volta entrati nel consesso europeo, vadano ad allinearsi alle posizioni dei paesi dell’Europa dell’Est, caratterizzate da profondo euroscetticismo e con una condotta sui diritti fondamentali molto diversa dai paesi occidentali. Il rischio concreto potrebbe diventare che ad essere ammessi nell’Unione sarebbero ancora una volta paesi che non condividono gli elementi fondativi dell’Unione, ma aspirano a migliorare soltanto la propria condizione economica. Concretamente c’è il rischio reale che vengano rovesciati gli equilibri europei in favore della visione, sempre meno democratica, dei paesi dell’est, contraddistinta dal rifiuto della divisione degli obblighi comuni, basti guardare al caso delle migrazioni, unita al mantenimento di una situazione, attualmente privilegiata, dei contributi europei. Il  punto centrale ora è chiedersi se il precedentemente allargamento è stato positivo o negativo l’Europa ed in base a quello ragionare per un ampliamento ulteriore. L’attuale situazione di contrasto con gli stati del gruppo di Višegrad fa propendere piuttosto ad un restringimento dell’Europa, che ad un allargamento, che non ha prodotto vantaggi per quelli stati che erano già membri e per l’idea stessa di unione che era stata prospettata. D’altra parte un allargamento con le condizioni con cui sono avvenuti quelli precedenti non sembra essere indicato, giacché dovrebbero essere previsti meccanismi di eventuali espulsioni per quelli stati che non si adeguano ai valori fondativi dell’Europa.  La domanda è se gli stati balcanici si sono abituati alla democrazia nel senso più pieno del termine o, invece, siano come i paesi dell’est, che risentono ancora degli influssi dei regimi comunisti ed esprimono dei governi che tendono ad essere illiberali. Il rischio è che sia l’occidente, cioè il nucleo fondativo dell’Europa a doversi adeguare ad un livello di democrazia più basso di quello dei propri standard e che l’Unione, per allargarsi numericamente, abbia una compressione dei diritti. Se, da un lato, l’intenzione di aumentare i paesi membri è lodevole proprio per cercare di allargare i diritti, dall’altro lato, occorre riconoscere che i paesi dell’Est Europa, al momento, rappresentano una delusione per la mancata evoluzione in senso democratico. Anche se la strada per l’ammissione dei paesi balcanici è ancora lunga, occorre ponderare bene questa eventualità ed almeno pensare forme di ingresso graduali, modulate sul lungo periodo, che possano interrompre i rapporti con quegli stati, che, sopratutto, in prospettiva, non sembreranno capaci di adeguarsi a processi democratici rispondenti agli standard richiesti ed attesi.

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