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lunedì 26 febbraio 2018
Gli USA aumentano le sanzioni contro la Corea del Nord
Le sanzioni che gli Stati Uniti hanno imposto su cinquantasei compagnie di navigazione e di società che si occupano di scambi commerciali con la Corea del Nord, riguardano, principalmente, imprese dei seguenti paesi: Cina, Singapore, Taiwan, Hong Kong, Isole Marshall, Tanzania, Panama e Isole Comore. Si tratta di aziende che hanno più volte violato l’embargo economico verso Pyongyang, permettendo alla Corea del Nord di rifornirsi di petrolio e, nello stesso tempo, di esportare verso l’estero le materie prime prodotte dal regime nordcoreano. Trump ha più volte denunciato la scarsa efficacia delle sanzioni verso la Corea del Nord, proprio a causa di troppi soggetti internazionali che hanno continuato a violarle permettendo al regime un certo grado di sussistenza. La questione è annosa: già con Obama la Casa Bianca aveva più volte denunciato l’insufficiente applicazioni delle sanzioni, che, comunque, venivano considerate la migliore alternativa ad una eventuale risposta militare alle sperimentazioni delle armi nucleari. In effetti affinché le sanzioni possano ottenere risultati convincenti devono essere applicate nella loro interezza e senza violazioni che permettano di aggirarle. Gli Stati Uniti hanno sempre denunciato una applicazione soltanto teorica, anche da parte di stati che si erano pronunciati a favore di questa via diplomatica per contrastare i progressi negli armamenti atomici di Pyongyang. Tuttavia dai due paesi più coinvolti nella questione: la Corea del Sud e la Cina, la decisione del ministero del tesoro americano è stata giudicata sbagliata per i tempi ed i modi della decisione , avvenuta in un periodo, quello delle olimpiadi invernali, che sembrava aprire delle prospettive di distensione e di dialogo. La decisione di aumentare la pressione americana sulla Corea del Nord è stata decisa in maniera autonoma e non coordinata con Seul, per la quale gli Stati Uniti restano l’alleato più importante, ed ha provocato un risentimento molto forte nel paese sudcoreano, il cui governo ha espresso convinzione nella ripresa delle trattativa. L’interesse di Seul è quello di non inasprire la situazione, anche perchè una eventuale opzione militare è giudicata non percorribile, proprio per l’estrema pericolosità di una risposta nordcoreana, che come primo obiettivo avrebbe la Corea del Sud. Del resto il nuovo corso del governo sudcoreano ha dimostrato di preferire il dialogo alle prove di forza e da ciò consegue il giudizio negativo sull’azione americana. La Cina è contrariata oltre che per le ragioni analoghe a Seul, anche perchè vede vanificare i propri sforzi con Pyongyang, si è trattato di un paziente lavoro diplomatico per ammorbidire le posizioni della Corea del Nord, che rischia di essere vanificato dalle nuova sanzioni USA, che offrono anche un prestesto al regime di Pyongyang per innalzare la tensione. Il paese nordcoreano rischia di vedere bloccati i suoi rifornimenti energetici e ciò potrebbe portare ad una nuova escalation della volontà delle dimostrazioni di forza. Le ragioni che hanno indotto gli Stati Uniti ad agire in questo senso, non sono soltanto di fine pratico, cioè di sanzionare chi non si adegua alle sanzioni economiche, ma anche di ordine politico: intanto la dichiarazione di Trump, che le ha definite l’insieme delle misure sanzionatorie più vaste di sempre, esplica la volontà degli USA di non dare credito alla disponibilità nordcoreana e nello stesso tempo riaffermare la propria leadership nel campo occidentale della regione. L’attivismo di Seul, che ha adottato un approccio più conciliante con Pyongyang, ha messo in secondo piano il ruolo americano, che serve a Trump per mantenere al centro dell’attenzione la questione nordcoreana sul piano interno: per il presidente americano avere dei nemici dello stato, sui quali focalizzare l’attenzione dei media è necessario in un periodo di difficoltà dovuto alle questioni legali che lo coinvolgono nell’ambito dell’intromissione russa nelle ultime elezioni presidenziali. Se la decisione di colpire chi non si adegua all’embargo ha dei fondamenti di principio, la modalità della sua applicazione e, sopratutto il tempo in cui sono avvenute, contraddicono la necessaria prudenza, richiesta anche dagli alleati, che il caso nordcoreano richiede a causa dell’imprevedibilità del regime di Pyongyang. Non sutiperebbe venire a sapere che questo provvedimento sia stato preso in disaccordo con la diplomazia statunitense.
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