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giovedì 26 luglio 2018
I paesi nordafricani rifiutano i centri di accoglienza sui loro territori
La decisione approvata lo scorso 28 giugno, dall’Unione Europea circa la costruzione di campi di accoglienza per migranti fuori dai propri confini, si è subito rivelata una soluzione avventata, perchè non ha tenuto conto della volontà dei paesi nord africani, dove Bruxelles intendeva costruire le strutture di ricovero, per impedire l’emigrazione non autorizzata sul vecchio continente. Nelle intenzioni europee i paesi della fascia costiera meridionale del Mediterraneo dovevano diventare una zona di attesa autorizzata per i migranti, in attesa che venissero valutate le richiestedi ingresso. Le intenzioni dichiarate erano quelle di evitare le stragi del mare e le questioni con le Organizzzioni non geverantice, impegnate nel salvataggio dei profughi e dei relativi sbarchi, quasi tutti in porti italiani. La decisione presa dai paesi europei era, però, sbagliata in partenza in quanto non aveva contemplato una consultazione preventiva dei paesi che dovevano ospitare le strutture di accoglienza. Tale modalità ha rivelato una scelta approssimata e destinata ad un sicuro fallimento, come poi si è puntualmente verificato. Probabilmente la vera intenzione è stata quella di costruire un alibi nei confronti del paese italiano per continuare a lasciare a Roma la gestione dei flussi migratori. Occorre però specificare che spesso i punti di partenza delle rotte nautiche verso l’Italia sono appartenenti a stati nord africani che hanno rifiutato la proposta europea; spesso il controllo delle coste non è assicurato dagli organismi statali di questi paesi, che di fatto favoriscono i traffici umani e le rischise traversate verso le acque italiane. La risposta dei paesi della fascia costiera mediterranea meridionale è stata compatta nel rifiutare i centri di accoglienza, ma questa decisione pone degli interrogativi sugli effettivi controlli che esercitano alle loro frontiere. Per partire dalle coste mediterranee, infatti i migranti devono attraversare i confini ed il relativo territorio degli stati che rifiutano la collaborazione con l’Europa. Se, da un lato, la gestione delle frontiere è complessa, dall’altro sembra essere presente una sorta di volontarietà nel permettere il traffico e la partenza dei migranti, in questo caso il dubbio dell’uso di uno strumento di pressione verso l’Europa non sembra essere del tutto impossibile. I motivi del rifiuto, che resta, peraltro, molto comprensibile, sono generalmente simili per tutti i paesi nord africani: la percezione dei centri di accoglienza è quella di campi di internamento, ai quali sia le classi politiche che quelle sociali sono fermamente contrarie. Anche in paesi come la Tunisia, che dal punto di vista del processo democratico è una dei più avanzati e che, quindi, presenterebbe delle caratteristiche specifiche, il timore che si ripeta la situazione patita durante il conflitto libico, per di più in un contesto economico depresso, è motivo ulteriore di rifiuto della soluzione proposta da Bruxelles. Per l’Egitto la questione del rifiuto sembra essere quella organizzativa, perchè il paese delle piramidi patisce una situazione già molto pesante in termini di accoglienza di profughi provenienti da ben cinquantotto nazioni differenti. Algeria e Marocco si dicono in disaccordo con questa soluzione, ma con questi stati occorrerebbe stringere accordi sui migranti provenienti proprio da questi paesi, che contribuiscono ad aumentare il numero dei migranti. Infine con la Libia non sembra possibile neppure prefigurare un accordo, per il trattamento risetrvato ai migranti, spesso tenuti in condizioni inumane e venduti come schiavi. Tenere centrale la trattativa con la Libia appare controproducente, perchè i rappresentanti dei due governi libici sembrano attuare la strategia di Gheddafi, che regolava il flusso dei migranti in base alle propria esigenze, instaurando un regime di ricatti, il cui soggetto maggiormente interessato era l’Italia. Gli attuali esecutivi libici sembrano tenere una doppia condotta, che può essere conseguenza della divisione del paese, ma anche della limitata capacità di gestione dei flussi migratori, a cui deve essere aggiunta anche un certo calcolo nell’usare lo strumento di pressione delle partenze dei migranti. L’Europa, dopo avere tanto elaborato una soluzione così inutile, deve trovare ancora nuove soluzioni al problema migratorio e deve trovarle necessariamente al proprio interno, senza contare su collaborazioni esterne o su modelli, come quello basato sulla collaborazione con la Turchia, inapplicabili nei paesi nord africani. Le uniche soluzioni possibili sono quelle della revisione del trattato di Dublino e l’obbligatorietà delle quote, con la previsione di forti sanzioni per chi non le accetta.
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