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mercoledì 25 luglio 2018
Il contrasto tra USA ed Iran e le sue implicazioni
La reazione iraniana alle minacce di Trump potrebbe essere quella di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale transita il 90% del petrolio della regione e, quindi, di circa il 20% del greggio globale; le conseguenze sarebbero un innalzamento dei prezzi del settore energetico, con una pesante ricaduta sull’economia globale. Tuttavia la minaccia di Teheran, che poi sarebbe la risposta diretta ad un eventuale embargo statunitense sul petrolio iraniano, sembra di difficile attuazione, a causa della forte presenza delle forze armate americane nel Golfo Persico ed, anche, per la scarsa convenienza che avrebbero gli stessi iraniani a bloccare la principale via per esportare il proprio petrolio. D’altro lato ancheper gli USA, imporre l’embargo sul greggio di Teheran potrebbe avere effetti importanti: l’Iran attuale non è isolato perchè può godere degli accordi commerciali con la Cina e la Russia ed anche della volontà europea di non aderire alle disposizioni di Trump. La situazione di tensione tra i due paesi è dovuta al cambio alla Casa Bianca, con il nuovo inquilino che ha preso una direzione opposta a quella di Obama, anche in ragione di una maggiore vicinanza con i regni sauditi, di religione sunnita, e con Israele, che ritiene l’Iran il suo nemico più pericoloso. La questione diretta del contendere tra Washington e Teheran è l’accordo sul nucleare iraniano, che l’attuale amministrazione statunitense vede come troppo favorevole all’Iran ed anche potenzialmente in grado di permettergli di sviluppare l’arma atomica. Trump spinge per una revisione più stringente dell’accordo, che penalizzerebbe gli iraniani, ma il presidente americano è isolato tra i firmatari dell’accordo: infatti non è seguito dagli altri sottoscrittori del trattato, che si sono dichiarati al favore del mantenimento di quanto firmato e di conseguenza non seguiranno gli USA sulle sanzioni contro l’Iran. Washington resta così da sola, ad essere contro l’Iran, all’interno del panorama diplomatico più rilevante. Uno degli obiettivi degli americani, nei confronti di Teheran è quello di rovesciare il regime al comando del paese, ma questo proposito si scontra con lo stato attuale della società iraniana. Se nel 2009 i cittadini dell’Iran protestavano per ottenere maggiori diritti, attualmente scendono nelle strade per protestare contro una situazione economica sempre più difficile, dovuta, in parte alla corruzione sempre più estesa, che alla grande incompetenza dei governanti centrali e periferici: si è passati, cioè, da contestazioni sui principi a contestazioni su ragioni più pratiche ed oggettive. Questo non facilita chi vuole rovesciare un regime, perchè è più facile fomentare rivolte per diritti negati rispetto ad una cattiva amministrazione. Di questo è sembrato rendersi conto anche l’amministrazione americana, che si è pronunciata contro la classe politica iraniana, che, a causa della sua corruzione, rende difficile la vita del popolo dell’Iran. Quindi essere responsabili di un embargo in queste condizioni non può che peggiorare la percezione degli Stati Uniti, che diventerebbero colpevoli di peggiorare ulteriormente le condizioni dei cittadini iraniani. Paradossalmente sarebbe più facile favorire un cambio di regime in una situazione economica migliore, dove i temi dei diritti potrebbero tornare centrali in una eventuale protesta popolare. Anche una sfiducia verso il presidente iraniano in carica, Rohani, potrebbe accelerare la migrazione di una quota consistente di consenso, verso settori più tradizionalisti e meno moderati, il cui principale interesse resta quello di concentrare l’interesse nazionale verso ai valori della rivoluzione khomeinista e quindi aggregare la popolazione contro il grande Satana, come vengono definiti ancora negli ambienti radicali gli Stati Uniti. Ciò potrebbe anche essere una tattica degli strateghi della Casa Bianca, favorire, anche indirettamente, il ritorno al potere della parte più conservatrice del paese iraniano, per avere delle ragioni tangibili nella presentazione del paese iraniano attraverso la peggiore percezione possibile. Potrebbe trattarsi di una ripetizione dello schema adottato con Kim Jong-un: provocare la massimo la controparte per raggiungere lo scopo voluto da Trump, ma l’Iran non è la Corea del Nord se ciò fosse vero, si tratterebbe di una tattica quasi suicida, perchè, se non raggiungesse lo scopo prefissato, avrebbe degli effetti negativi sull’economia, sulle relazioni internazionali e costringerebbe gli Stati Uniti all‘apertura di un nuovo fronte internazionale su cui concentrarsi, una eventualità, che se si verificasse, segnalerebbe l’ennesimo errore di valutazione da parte del presidente americano e del suo staff.
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