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giovedì 6 settembre 2018
La situazione dello Yemen è sempre più grave
La guerra nello Yemen è in corso da tre anni, ma ha una risonanza minore di quella siriana; lo scorso mese di Agosto è stato uno dei più tragici per la triste contabilità delle vittime che sono arrivate a ben 981 morti, tra cui più di 300 bambini. Le morti dei civili sono incidenti giustificati dai militari sauditi come atti di guerra legittimi, con pratiche burocratiche ciniche ed insensibili, che si inquadrano nella strategia usata contro i ribelli sciiti. Quella messa in pratica dalla coalizione sunnita, capeggiata, appunto, dall’Arabia Saudita e che comprende Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar, è una condotta che unisce l’azione militare, con le inevitabili rappresaglie indiscriminate, all’utilizzo del blocco umanitario pressoché totale per usare la fame e le malattie come arma di guerra. Questa pratica potrebbe però essere inquadrata all’interno del reato del crimine di guerra, se fosse presente una volontà concreta di perseguire questa strada dalle Nazioni Unite, forse si potrebbe aprire una soluzione per questo conflitto; tuttavia la guerra continua quasi ignorata dalla stampa e dalle organizzazioni internazionali. Soltanto le Organizzazioni non governative cercano di portare avanti il loro lavoro in situazioni sempre più difficili e con il rischio concreto, per i loro operatori di essere colpiti da raid aerei della coalizione sunnita. La situazione sanitaria del paese è al collasso a causa del colera, che ha contagiato almeno mezzo milione di persone e che ha provocato oltre duemila morti soltanto negli ultimi tre mesi. Un dato importante è quello economico: lo Yemen è lo stato più povero del medio oriente e già in condizioni normali l’approvigionamento alimentare è difficoltoso, ciò rende ancora più difficile reperire risorse alimentari in una condizione di guerra dove i rifornimenti sono pressoché bloccati, sia dai militari, che dalla condizione del sistema delle vie di comunicazione, che risulta danneggiato praticamente nella sua interezza. Politicamente per l’Arabia ed i suoi alleati si tratta di una guerra che rappresenta la ritorsione contro l’Iran, ma anche contro la Russia, per la vittoria in Siria, che era un obiettivo dei paesi sunniti. Una sconfitta dei ribelli yemeniti di religione sciita potrebbe costituire un indebolimento per Teheran, che cercava un base per contrastare le monarchie sunnite. Nel quadro conflittuale dei rapporti tra Teheran e Washington, è presente, seppure defilato, un ruolo americano all’interno del conflitto. Già con Obama gli USA avevano evitato di interferire nel conflitto, restando neutrali, per non aumentare la distanza con Riyad a causa dell’accordo sul nucleare iraniano, ma con Trump presidente la sensazione è che gli Stati Uniti stiano collaborando con l’alleanza sunnita proprio in ottica anti iraniana. Il mancato sanzionamento internazionale dell’Arabia Saudita per le pratiche adottate nello Yemen può essere letto anche come elemento strategico contro Teheran; ciò consente ai sauditi di continuare ad opporsi all’apertura di corridoi umanitari, sia in uscita per i profughi, sia in entrata per i rifornimenti di medicinali e generi alimentari. Quello praticato da Riyad è un isolamento quasi totale, che pur non riuscendo a vincere la resistenza militare dei ribelli, riduce la possibilità di sopravvivenza dei civili, costringendoli a sofferenze enormi. Un ulteriore fattore che aggrava la situazione è la presenza in alcune zone del paese di gruppi di Al Qaeda e dello Stato islamico, che essendo sunniti si accaniscono anche essi sulla popolazione sciita. Se le Nazioni Unite non espletano la loro funzione, perchè probabilmente sono in ostaggio degli USA, quello che stupisce è il silenzio dell’Europa, che ancora una volta si dimostra pavida ed incapace di diventare un soggetto internazionale autorevole, forse a causa degli investimenti arabi presenti sul continente. Resta l’emergenza umanitaria sempre più grave, perchè la violenza militare è cresciuta anche infrangendo il diritto internazionale ed umanitario in un contesto di assoluto silenzio.
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