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giovedì 3 gennaio 2019
Le incognite della presidenza rumena di turno, occasione di riflessione per l'Europa
Il semestre di presidenza dell’Unione Europea che sta per iniziare vedrà questioni molto importanti sul tavolo delle trattative: prime tra tutte la definizione dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione fino ad arrivare al tema dell’ingresso della Serbia nel consesso di Bruxelles. In un periodo così delicato la rotazione prevista per ricoprire la presidenza dell’Unione toccherà alla Romania, un paese con grosse difficoltà interne e con degli standard non certo europei, a cui andranno sommate le difficoltà che i burocrati rumeni incontreranno per gestire problematiche di così intensa difficoltà. Bucarest è alle prese con la contestazione più consistente dai tempi della caduta della dittatura, avvenuta nel 1989. Si calcola che le manifestazioni del popolo rumeno contro la corruzione, le leggi che prevedono la depenalizzazione di alcuni reati e contro l’abuso di potere abbiano radunato nelle piazze anche 600.000 persone alla volta. La Romania è diventata membro dell’unione nel 2007 ed i progressi compiuti contro la corruzione, male endemico del paese, si sono fermati da circa due anni con l’ascesa al potere del partito socialista, il cui leader è risultato ineleggibile per una condanna per il reato di frode elettorale. La situazione rumena rappresenta una chiara situazione di come Bruxelles non è riuscita ad imporre i suoi valori costituenti, cosa, peraltro comune, nei paesi provenienti dal blocco sovietico, e di come non riesca neppure a farli rispettare. Continuare ad ammettere la presenza all’interno dell’Unione di nazioni che promulgano leggi che non rispettano i valori europei è molto pericoloso, sia per l’effetto disgregante che ha contribuito all’affermazione del populismo, sia perchè i meccanismi perversi della distribuzione del potere non prevedono norme sospensive per quelli stati che non rispondono agli standard europei. Fino ad ora si era soltanto andati vicini ad una situazione come quella attuale, ma con l’insediamento della Romania a presidente di turno dell’Unione si raggiunge un nuovo livello degli effetti dei meccanismi legali di Bruxelles e della assoluta mancanza di contromisure studiate per fronteggiare il verifcarsi di eventualità di questo genere. Il fatto che ciò coincida con il momento nel quale si dovrà gestire l’uscita della Gran Bretagna, assume un valore ancora più peculiare che richiama alla necessità improrogabile di rivedere le leggi europee, sia per la gestione del potere, che per l’accettazione di nuovi membri ed anche per l’elaborazione di meccanismi sanzionatori efficaci verso quei paesi che non si adeguano a garantire i diritti civili e politici, la libertà di stampa, il mutuo sostegno tra gli stati membri e la lotta alla corruzione. Come si vede se esistessero in maniera effettiva questi presupposti, la lista dei membri europei sarebbe più corta e ciò sarebbe solo un vantaggi per il funzionamento delle istituzioni comunitarie. La domanda fondamentale è se i paesi che sono stati governati da dittature hanno maturato un reale senso democratico tale da produrre classi politiche capaci di identificarsi con gli ideali fondativi dell’Europa. Se ciò non è avvenuto la colpa è anche di Bruxelles, che pur di ampliare la sua zona economica, ha tollerato l’ingresso di paesi non pronti e con la sola intenzione di sfruttare i contributi europei, senza prevedere un meccanismo di tutela che potesse prevedere sanzioni fino all’espulsione. Un governo debole in patria come quello rumeno, pur coadiuvato dagli specialisti di Bruxelles, può gestire l’uscita inglese, che prevede una serie di norme che ricadranno inevitabilmente su tutti gli europei, senza incorrere in qualche problema di cui è già accusato? Il quesito è lecito e non dovrebbe essere sottovalutato, come non è da sottovalutare la possibile mancanza di capacità di ascolto degli altri membri, una mancanza non strana in esecutivi che si sono dimostrati insensibili alle istanze delle opposizioni. Una gran quantità di argomenti su cui riflettere per i burocrati di Bruxelles.
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