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venerdì 1 marzo 2019
Le Nazioni Unite accusano Israele di crimini di guerra
La Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite, istituita per indagare sulle presunte violazioni dei diritti umani da parte dei soldati israeliani in occasione delle manifestazioni dei palestinesi per la Marcia del ritorno, ha presentato le sue conclusioni. All’origine dell’indagine ci sono state le repressioni dei militari di Tel Aviv nei confronti delle proteste tenute tra la frontiera israeliana e quella della Striscia di gaza, iniziate il 30 marzo del 2018 e durate per sei settimane,per sostenere la richiesta dei discendenti dei rifugiati per riavere i propri beni, abitazioni e terreni, che persero nel 1948 a seguito dell’occupazione israeliana. Il fenomeno riguardò circa 750.00 persone, a cui furono sottratti tutti i loro beni e costrette a trasferirsi a Gaza. Nel 1948 una risoluzione delle Nazioni Unite, la numero 194, prevedeva la possibilità del ritorno dei proprietari nello loro case, ma lo stato di Israele ha sempre negato questa possibilità, perchè un rimpatrio di una ampia quantità di palestinesi potrebbe compromettere la natura ebraica della nazione, un sentimento che è diventato legge nazionale sancendo, appunto, la natura essenzialmente ebraica del paese israeliano. Le vittime dei soldati israeliani, tra cui è sicura la presenza di cecchini, sono state ben 189, tra cui 35 bambini, due giornalisti e tre paramedici impegnati nei soccorsi. Sulla base di questi dati la Commissione delle Nazioni Unite ha ritenuto di avere individuato violazioni del diritto umanitario, dei diritti umani ed anche casi che possono essere configurati come crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La giurisdizione su queste violazioni è di Israele, che dovrebbe effettuare prooprie indagini ed eventualmente porre sotto giudizio i responsabili. La risposta di Tel Aviv segue uno schema consueto, che prevede il discredito dell’indagine della Commissione delle Nazioni Unite, considerando come false le notizie riportate, oltre alle solite definizioni di ostilità e prevenzione, che riguardano ogni rapporto contrario agli interessi israeliani. Tuttavia la risonanza mondiale che un’indagine delle Nazioni Unite può avere, non costituisce la ulteriore conferma dell’isolamento di gran parte della comunità internazionale, anche se i recenti sviluppi di politica internazionale hanno silenziato la questione palestinese a favore del riavvicinamento tra Tel Aviv e Washington, grazie alla presidenza Trump, e per l’alleanza ufficiosa tra Israele e le Monarchie del Golfo in funzione anti iraniana. Uno dei risultati della Commissione potrebbe, però, essere una nuova attenzione verso la questione palestinese, anche in concomitanza dell’avvicinarsi delle elezioni israeliane. La questione fondamentale è se la comunità internazionale può ancora permettere che uno stato possa agire al di fuori della legge: se deve essere riconosciuta la responsabilità di attacchi verso le forze israeliane da parte di palestinesi, per i quali va considerato, però, lo stato di segregazione in cui vivono nella Striscia di Gaza, sottoposta da un embargo pressoché totale del 2007, dall’altra parte occorre evidenziare la sproporzione della risposta, esclusivamente militare operata contro dei civili. Le ragioni di autodifesa che Israele produce possono essere valide in presenza di attacchi compiuti con mezzi militari non con le modalità operate da chi voleva compiere una marcia di protesta. La ragione profonda è sempre la mancanza di una definizione della questione palestinese, della mancata attuazione della politica dei due stati, con la creazione di uno stato palestinese e del mancato rispetto degli accordi firmati da Israele, più volte non rispettati, anche attraverso gli insediamenti illegali in territorio palestinese. La politica degli ultimi governi israeliani, condizionati da una eccessiva presenza di estremisti, è andata nella direzione di eludere la creazione di uno stato palestinese, procrastinando la soluzione con ogni mezzo ed esasperando la rabbia dei palestinesi a cui è stata impedita ogni possibilità di sviluppo. Malgrado la situazione contingente non sia favorevole, la comunità internazionale ha il dovere di rimettere al centro dell'attenzione la questione palestinese per arrivare ad una definizione soddisfacente per entrambe le parti, dove i colpevoli degli abusi siano messi di fronte alle proprie responsabilità.
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