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mercoledì 15 gennaio 2020

Pechino sconfitta a Taiwan

Con una partecipazione di oltre il 75%, la più alta dal 2008, le elezioni a Taiwan hanno confermato tutti i pronostici a favore della candidata Tsai Ing-wen, che ha vinto con oltre il 57% dei consensi ed ha raggiunto la maggioranza anche al parlamento. La vincitrice ha costruito la sua campagna elettorale contro l’ingerenza cinese ed a favore dell’indipendenza di Taiwan da Pechino. Questo programma elettorale, tuttavia, nella forma non è mai stato reso esplicito, per non irritare troppo la Cina, ma ha mantenuto un atteggiamento di fatto ambiguo in favore dello status quo: il mantenimento dell’indipendenza senza dichiararla ufficialmente. Se la forma è questa, la sostanza effettiva presentata agli elettori è per il mantenimento del distacco da Pechino, senza prevedere soluzioni fallimentari come quella di Hong Kong, riassunte nel programma mai attuato: “uno stato due sistemi”. La maggioranza degli elettori di Taiwan e sopratutto i giovani hanno inteso questa votazione come un vero e proprio referendum per il mantenimento dei valori democratici nel paese e contro la proposta di una riconciliazione con la Cina come proposto dal partito nazionalista. Questo risultato elettorale ha molte cause, delle quali la volontà di preservare l’autonomia e la democrazia rappresentano soltanto quelle interne. Per la ragioni esterne occorre analizzare il comportamento cinese tenuto sia nella madrepatria, che ad Hong Kong e, sopratutto, nei confronti della stessa Taiwan. Pechino, per mantenere la linea fissata da Xi Jingping, ha ammonito più volte Taiwan a non perseguire l’indipendenza ed ha sottolineato più volte che l’isola appartiene alla Cina come continuità territoriale del paese. Anche le repressioni ad Hong Kong vicino al voto a Taiwan hanno contribuito a spostare i consensi verso chi si è dimostrato a favore del mantenimento dei valori democratici. Quello che stupisce è proprio l’approccio cinese tutt’altro che pragmatico e che appare totalmente inadatto per esercitare il ruolo di grande potenza. Anche se è vero che Pechino considera come territorio cinese entità che non si riconoscono nella legislazione cinese, il comportamento della Cina ha evidenziato una condotta censurata da gran parte dell’opinione pubblica mondiale e la capacità di relazioni con  i paesi esteri è stata assicurata soltanto dalla grande liquidità finanziaria disponibile. Il voto di Taiwan, in realtà, sembra spaventare Pechino, che teme altre manifestazioni ad Hong Kong e sopratutto nell’interno del paese cinese, già in difficoltà per la repressione contro i musulmani ed i dissidenti. In effetti l’intesità della reazione, effettuata con uno schema prevedibile, perchè addossa la responsabilità del risultato elettorale a forze straniere, in particolare gli Stati Uniti, segnala uno spaesamento e l’assenza di argomentazioni capaci di giustificare l’atteggiamento cinese. Sul lato pratico la Cina effettua la pressione su Taiwan con minacce di ricorrere al ruolo della forza per salvaguarare l’integrità territoriale anche attraverso esercitazioni della marina militare cinese nello stretto di mare che divide la Cina continentale da Taiwan. Dal punto di vista diplomatico la vittoria degli indipendentisti di Taiwan significa che si conferma uno scenario potenzialmente pericoloso per gli equilibri dell’area: gli Stati Uniti potrebbero accelerare i legami con Taipei ed incrementare le forniture militari, che ci sono già state. Queste forniture, seppure consistenti, sono ritenute insufficenti contro un potenziale attacco di Pechino; il rischio maggiore è quello che gli USA vogliano impiantare una base americana su di un territorio che Pechino considera di sua proprietà. Ciò potrebbe rientrare anche nella negazione nel riconoscimento ufficiale di Washington della questione cinese, che si condensa nella definizione di una sola Cina. In ottica di contenimento cinese, Taiwan potrebbe garantire un fattore strategico di assoluta importanza per gli Stati Uniti, sia dalpunto di vista militare, che da quello commerciale; il punto è quanto potrà essere vantaggioso continuare su questa strada, visto l’atteggiamento di totale intransigenza di Pechino. Per la Cina, comunque, la gestione della politica interna sta diventando forse più difficile della gestione della politica internazionale, proprio perchè non appare attrezzata a gestire il dissenso e ciò potrà produrre contraccolpi inevitabili a livello diplomatico ed anche commerciale.

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