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mercoledì 12 febbraio 2020

Coronavirus come pericolo sociale ed economico per la Cina

La tattica cinese all’inizio ed anche prima dell’epidemia del corona virus è stata quella di negare o minimizzare i rischi del contagio, evidentemente per un errore di sottovalutazione collegato anche all’intenzione di preservare la propria economia. La rapide espansione, anche a livello globale, del virus ha costretto Pechino a mutare il proprio atteggiamento, senza, tuttavia, riconoscere le proprie responsabilità, che sono state addebitate agli organi del potere periferici; cosa impossibile in un paese dove tutte le informazioni sono controllate ed accentrate fino ad arrivare alle gerarchie più alte. Pensare che Xi Jinping fosse all’oscuro dei rischi è la strategia di Pechino: ma è poco credibile. Per ora a pagare sono stati dirigenti politici delle regioni da dove è partito il contagio, che sono sacrificati propro per tutelare il potere centrale. Ma ciò provoca l’interrogativo riguardo all’efficacia del potere di controllo sulle periferie: si tratta di una domanda retorica, l’apparato centrale non poteva non sapere, proprio grazie al controllo capillare che si estende su tutto il territorio, tipico di ognipotere autoritario. Detto questo la decisione di fare ricadere la responsabilità su dirigenti periferici, seppure di grado elevato, manifesta l’esigenza di escludere da una opinione pubblica che ha contestato i silenzi delle autorità l’idea che ci siano responsabilità del Presidente Xi Jingping. Ma questo è soltanto un aspetto del problema: vi è una parte della società cinese, quella che fa parte del ceto dirigente produttivo, che ritiene eccessivi i provvedimenti presi contro il virus, perchè troppo penalizzanti per l’economia del paese. Quello che rischia di incrinarsi è il patto sociale tra  il ceto medio alto della popolazione ed il ceto politico, patto fondato sulla distribuzione della ricchezza in cambio della lontananza dalla politica. Non che il potere e la posizione del presidente cinese siano in pericolo, ma il rischio concreto della realizzazione di una presenza di dissenso non appare più così impossibile, come la situazione antecedente al corona virus assicurava. Il fattore tempo per valutare questa situazione è essenziale, dato che secondo gli esperti cinesi il valore massimo dell’infezione non si è ancora verificato ed arriverà entro la fine del mese di febbraio. Quindi la Cina continuerà ad essere in una situazione di emergenza per almeno altri due mesi o anche qualcosa di più. In questo lasso di tempo il regime dovrà gestire con oculatezza una crisi dalla doppia valenza: sanitaria e sociale, senza tralasciare l’aspetto economico e non potrà farlo con ripetute punizioni di funzionari periferici. Ma anche dal punto di vista internazionale l’immagine cinese appare offuscata, l’allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità ha proclamato il corona virus una minaccia peggiore del terrorismo a causa degli oltre mille morti in un periodo di tempo tutto sommato breve e per l’alta capacità di diffusione del virus. Secondo i dati ufficiali la mortalità, però, sarebbe del quattro per mille, che non è un numero irrilevante, sopratutto considerato che riguarda paesi per lo più attrezzati ad affrontare queste emergenze. Quello che inquieta di più è la possibilità che il virus arrivi in Africa, dove i sistemi sanitari non sono altrettanto solidi di quelli dei paesi più avanzati. Per quanto riguarda l’economia, ormai è una certezza che gli effetti del corona virus sull’economia cinese si stanno riflettendo su quella globale e la richiesta del mondo verso Pechino, è quella che la Cina sostenga il suo tessuto produttivo con misure specifiche. Se queste misure sono necessarie, altrettanto importante sarebbe una sorta di moratoria, anche limitata nel tempo, della guerra dei dazi per dare modo all’economia globale di limitare i danni, anche in considerazione dell’avvicinamento della carenza dei prodotti dell’industria manifatturiera cinese verso l’estero; la dipendenza di diversi comparti industriali, in ogni parte del globo, dei prodotti cinesi, rischia di diminuire la quantità di prodotto finito in ogni settore industriale, con il consegunete calo della produzione capace di provocare un innalzamento dei prezzi ed una conseguente inflazione a livello planetario. Se ciò dovesse verificarsi il contraccolpo economico per Pechino sarebbe una diminuzione della crescita del paese e, di conseguenza di tutto il mondo, con una credibilità compromessa per l’apparato produttivo, ma sopratutto politico della Cina.

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